Marcegaglia-Cgil... Quello strano inciucio che fa male al lavoro

Confindustria ratifica coi sindacati (Cgil compresa) l'accordo del 28 giugno: depotenziato l'articolo 8 della manovra sui licenziamenti. Marcegaglia, dimettiti dalla tua ipocrisia

Marcegaglia-Cgil... 
Quello strano inciucio  
che fa male al lavoro

Roma - Con l’acceleratore a tavo­letta e il freno a mano tirato; intran­sigenti nel chiedere agli altri rifor­me radicali e definitive, parchi e di­sponibili a compromessi quando si tratta di realizzarle in prima per­sona. È l’immagine che ha dato ie­ri Confindustria­con quella che uf­ficialmente è stata annunciata co­me la firma definitiva sull’accor­do del 28 giugno tra datori e sinda­cati sulla contrattazione azienda­le. Ma che Rassegna , giornale onli­ne di area Cgil, ha subito illustrato come un accordo che «neutraliz­za di fatto gli effetti dell’articolo 8 della manovra economica»; uno «schiaffo al governo» che - sem­pre per usare le tesi della Cgil- con il famoso articolo 8 della manovra voleva minare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che sancisce l’obbligo del reintegro dei lavoratori licenziati senza giu­sta causa.

In sintesi a meno di 24 ore dal du­rissimo ul­timatum di Emma Mar­cegaglia all’esecutivo ( «Vere rifor­me o se ne vada a casa»), la presi­dente di Confindustria ha siglato un accordo con Cgil, Cisl e Uil che magari non scardina, ma sicura­mente circoscrive il potenziale dell’unica riforma contenuta nel­la manovra di Ferragosto. Rifor­ma peraltro molto più blanda ri­spetto a quelle che ci chiedono la Banca centrale europea e Stan­dard & Poor’s, preoccupate per le anomalie del mercato del lavoro italiano, ultragarantista con alcu­ni, spietato con altri.

La Marcegaglia non ha nasco­sto che l’intento della firma di ieri era «porre fine a tutte le polemi­che delle ultime settimane». Cioè alle proteste di chi ha gridato allo smantellamento dello Statuto. Co­me è stato raggiunto l’obiettivo l’ha spiegato il leader della Cisl Raffaele Bonanni:«Le tutele previ­ste­dall’articolo 18 resteranno pie­namente valide, visto che la Cisl e tutte le altre organizzazioni sinda­cali non tratteranno questo punto per loro libera volontà».In sostan­za, la manovra dà ai sindacati, a li­vello di azienda, la possibilità di decidere deroghe alla legislazio­ne, ma le confederazioni generali dei sindacati e quella degli im­prenditori hanno già deciso di non avvalersi di questa facoltà per quanto riguarda le norme che re­golano il reintegro dei licenziati.

Ha aggiunto il segretario dell’Ugl Giovanni Centrella, «abbiamo vo­l­uto neutralizzare le forzature con­tenute nell’articolo 8 della mano­vra- bis», perché «rischiavano di ri­mettere in discussione le relazio­ni sindacali e industriali». Logica perfetta per un sindacato, un po’ meno per quella Confindustria che martedì ha cavalcato l’onda del declassamento di S&P per ri­lanciare un aut aut sulle riforme. Viale dell’Astronomia ha spie­gato che con la firma di ieri tutte le organizzazioni si sono impegnate «a far sì che le rispettive strutture, a tutti i livelli, si attengano a quan­to concordato». A Confindustria preme soprattutto salvare un al­tra parte dell’articolo 8 della ma­novra, cioè la validità erga omnes degli accordi aziendali.

Serve a da­re la certezza agli associati che non ci saranno scioperi contro ac­cordi siglati con la maggioranza dei sindacati, come è successo per gli stabilimenti della Fiat dove la gran parte dei lavoratori ha ap­provato i piani di salvataggio, ma la Fiom-Cgil si è comunque mobi­­litata con scioperi e proteste.

Per lo stesso motivo l’accordo di ieri è piaciuto anche al governo. Il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, che su queste materie non ha mai forzato la mano, ha lo­dato la «responsabilità di tutte le organizzazioni firmatarie», pro­prio riferendosi al via libera del­l’ erga omnes anche da parte della Cgil. Nessun commento sui licen­ziamenti. La riforma dei reintegri l’avrebbero potuta fare le parti, ma le stesse parti, hanno deciso di lasciare perdere. Confindustria compresa. Con buona pace di Bce e agenzie di rating, in Italia fare le riforme è più difficile che auspicar­le. E questo lo sa anche Marcega­glia.
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