La marchesa «impazzita» per non disturbare Genova

La marchesa «impazzita» per non disturbare Genova

Una storia di un secolo fa. Misteriosa come Genova. Talmente misteriosa da poter tranquillamente fungere da canovaccio per una storia di oggi. Sempre ambientata nella «stessa» Genova che non cambia mai. Protagonista e vittima è la marchesa Mirette Cambiaso, troppo originale e dirompente per essere accettata da Genova, troppo artisticamente rivoluzionaria per non essere scartata da quel mondo conservatore che «maniman» non si apre un po’ neppure se entra nel terzo millennio. Magari usa metodi diversi, ma non può consentire che un foresto, per di più innovatore, cambi le cose così come sono state tramandate.
E non a caso la storia di Mirette Tanska Cambiaso è una di quelle che a Genova nessuno ha mai cercato di chiarire. Ha deciso di scuotere la polvere e forzare le chiavi degli archivi segreti Armando Di Raimondo, dirigente e consulente d’azienda per professione ma appassionato di storia patria locale e archeologo delle tradizioni nel tempo libero. Così lo storico genovese ha voluto indagare il passato della nobile famiglia genovese per capire meglio quella figura troppo controversa per essere soltanto «pazza». Mirette Tanska Cambiaso, sposando giovanissima il marchese Luigi, aveva portato con sé dalla natìa Francia lo slancio artistico e rivoluzionario che si respirava a Parigi. Una «colpa» per chi venica in sposa di un rampollo di una famiglia seria, benpensante e chiusa quanto basta per opporsi a troppa emozione. Madre già a diciannove anni della primogenita Elena, Mirette una volta cresciuti i tre figli, lasciò il marito e si ritirò a Basaluzzo, vicino Novi Ligure, per dare sfogo alla sua passione per la pittura. Poi un buco nero e il suo «ritorno» a Genova, ma da internata nel manicomio di Quarto, insieme alla figlia minore Stefania, anch’ella «contagiata» dalla passione per l’arte. Come? Quando? Perché? Domande impenetrabili per i segreti di Genova. Di quella Genova che aveva preferito far passare per pazza Mirette, ma che aveva continuato a nascondere ogni sua notizia nei decenni successivi, nella speranza che non arrivasse nessun Armando Di Raimondo a ficcare il naso.
Il libro «Mirette Tanska Cambiaso - Una donna della Belle Époque fra arte e follia», edito da Erga (prezzo di copertina 10 euro) riporta alla luce non solo alcune opere della stessa marchesa, già nascoste da mani di calce probabilmente ordinate dalla famiglia Cambiaso, ma anche documenti inediti che ricostruiscono gli anni dell’esilio, della fuga, delle difficoltà economiche e del ritorno a Genova di Mirette. Atti ufficiali sepolti negli archivi del manicomio e lettere manoscritte della sventurata costretta a essere pazza dalla Genova che non accetta le novità. Dettagliatissimo il racconto dell’«arresto» avvenuto la mattina del 29 maggio 1918 nella sua umile dimora al Righi. L’ordinanza del questore su disposizione del procuratore del re aveva spedito due gendarmi e due infermieri a prelevare Mirette e Stefania. La marchesa Mirette aspetterà inutilmente un atto di clemenza fino alla sua morte, la mattina del 3 febbraio 1935.


La chiosa spetta all’autore: «Questo non è un romanzo, anche se avrebbe tutti gli ingredienti per diventarlo. Non è un libro d’arte anche se di arte si parla. È una storia vera a riprova di quanto la realtà superi spesso la fantasia».

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