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«Se non dobbiamo vincere, meglio divertire». Non fosse partita da Arcore, la nuova e inedita missione affidata a Leonardo per il Milan dei senza Kakà, sarebbe stata liquidata come l’ennesima eresia dei berlusconiani. Non era la prima, realizzata con la scoperta e il lancio di un semisconosciuto in panchina, l’Arrigo, di sicuro non rimarrà l’ultima. E invece su quella frase-civetta, quasi fosse la prima pietra, Leonardo ha cominciato a costruire il suo nuovo Milan, poco adatto a vincere, di sicuro fatto apposta per divertire i suoi tifosi in lutto stretto per mesi e in qualche fase anche parte dei suoi oppositori. La traccia seguita dall’esordiente di Milanello è nota e fu esposta in modo sincero il giorno della presentazione pubblica a San Siro, Kakà non ancora ceduto, Ancelotti appena partito per Londra. Erano i giorni dello smarrimento collettivo rossonero. «Il mio modello resta il Brasile di Tele Santana» chiarì Leo e pensammo tutti di essere dinanzi a una concessione romantica nei confronti della propria identità calcistica e nient’altro. Come immaginare in Italia, nel campionato degli “azzeccagarbugli”, il 4-2-4 che fece sognare e suicidare i carioca in Spagna ’82 castigati in modo esemplare e clamoroso dal famoso Pablito Rossi, in quel di Barcellona, stadio santo del Sarria? E invece no, Leonardo ha avuto coraggio, un coraggio che ha sfiorato l’audacia e anche la follia disegnando quello schema molto ardito, 4-2-1-3, contro il Parma, nonostante il risultato in bilico, sospeso su una fune d’acciaio. Ma com’è possibile?
«Voi dimenticate che io sono brasiliano nella testa e nel cuore» è la risposta scontata dell’interessato quando gli hanno chiesto spiegazioni del progetto già tentato a Madrid, nella sfida dei botti, e ripetuto col Chievo e col Napoli, e anche col Parma, riuscendo a ottenere un rendiconto di 7 punti su 9 che hanno rilanciato in modo significativo le quotazioni rossonere in classifica. Al ritorno da Bergamo, quando capì che traballava tutto, la panchina e anche la sua missione, Leonardo decise di chiudere col passato. Il gruppo squadra non tradì molti dubbi nel predisporre il sistema di gioco. «Proviamo, lo so che rischiamo ma proviamo: Ronaldinho e Pato non devono tornare sui difensori, e quando si riconquista palla devono volare» furono le disposizioni di Leonardo per illustrare la rivoluzione passata sotto silenzio. Già, il comandamento dei due attaccanti ispirati dal trequartista, diventato croce e delizia di Ancelotti, è già stato seppellito sotto qualche zolla di Milanello senza alcun rimpianto. Forse è stato il modo più concreto per liberarsi del fantasma che si è aggirato per settimane da quelle parti, Kakà. A proposito: sarà accolto con striscioni e cori e dal primo pienone della stagione, ma nient’altro. Non ci saranno scene strazianti anche se il cordone ombelicale tra lui e l’ambiente è rimasto intatto e qualche sodale accredita ripensamenti del giovanotto.
A sottolineare la nuova vocazione offensiva del Milan, con tridente fisso davanti, Pato-Borriello-Ronaldinho col Parma, sostenuti alle spalle da Seedorf, Gattuso e Pirlo, i due rimasti in trincea, le prossime scelte di mercato. Scontati a gennaio gli arrivi di Beckham e del giovane ghanese Dominc Adeiyah, segnalato da Leonardo in tv dopo la finale mondiale contro il Brasile. «Se supera le visite mediche è cosa fatta» l’annuncio di Galliani, sabato notte dopo il 2 a 0 sul Parma che ha ridato forza, credibilità e gol a un altro milanista disperso. Marco Borriello ha compiuto un gesto scaramantico, ha cambiato maglia, è passato dall’11 che non gli portò buono, al 22 indossato a Genova e rimasto sulle spalle di Kakà fino al 31 maggio scorso. Ma non è stata l’unica mossa. È riuscito a sconfiggere la lombalgia che l’ha tenuto al palo nelle ultime settimane. «Devo tutto a Meesserman» ha riferito ieri dopo aver lanciato la rincorsa al Real Madrid. «Pippo Inzaghi è vivo e vegeto ma a me piacerebbe tanto giocare questa sfida» la dichiarazione che metterà Leonardo dinanzi a un bivio.


Già, perché, martedì sera, il Milan formato Brasile, deve compiere due scelte crudeli: una in attacco tra Borriello e Inzaghi, l’altra a centrocampo dove tra Gattuso, Ambrosini e Seedorf uno deve restare fuori, in panchina. L’olandese è il candidato a tirare il fiato. Recuperato Nesta.

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