«Per la televisione io sono morto. E avrei potuto esserlo sul serio, in effetti. Invece sono vivo e vegeto. Per tutti. Tranne che per la tv». Quattordici anni dopo essersi perfettamente ristabilito dall'aneurisma che ne mise in pericolo la vita - ma che di fatto ne stroncò la carriera televisiva - Marco Columbro gode ottima salute. Fisica e professionale. Da allora è più impegnato che mai in teatro («il mio vero lavoro», dice lui) e attualmente in scena a Roma, accanto a Gaia De Laurentiis, nel delizioso Alla stessa ora il prossimo anno di Bernard Slade. Ma l'abituale, smagliante ottimismo del conduttore di Tra moglie e marito e Paperissima s'increspa d'imprevisto malumore, quando torna ai drammatici avvenimenti che nel 2001 cambiarono la sua vita.
«Ero al top della mia carriera. In pochi anni avevo ottenuto il massimo che si potesse desiderare. Quando all'improvviso fui colpito da un'emorragia cerebrale. In realtà si trattò un colpo di fortuna: proprio grazie a quell'emorragia, infatti, scoprirono che nel mio cervello covava qualcosa di ben più grave. Un aneurisma. Come dinamite pronta a esplodere. Me ne liberarono e mi salvarono la vita». Ma non la carriera: «Pur essendomi perfettamente ripreso, da quel momento sul mio lavoro calò il buio totale. La malattia non aveva lasciato alcuno strascico. Ma l'anno di assenza dalla ribalta televisiva fu sufficiente a farmi ritenere televisivamente defunto». Fino a dodici mesi prima Columbro era fra i personaggi più famosi dell'etere. Aveva debuttato nel 1980 doppiando Five, il pupazzo-mascotte di Canale 5; nell'81 aveva inaugurato (prima ancora della Carrà) la fascia del mattino con Buongiorno Italia ; era divenuto popolare nell'87 conducendo il seguitissimo Tra moglie e marito , e nel '91 era annoverato fra i presentatori più amati facendo coppia con Lorella Cuccarini, in Buona Domenica e Paperissima . «Io e Lorella assieme sbancavamo. Facevamo 8 milioni di telespettatori a sera. Arrivammo a guadagnarci l'investitura più inattesa, da parte della coppia tv per antonomasia: Raimondo Vianello e Sandra Mondaini, che pubblicamente ci definirono i loro eredi». Fu Silvio Berlusconi in persona a proporre al nuovo divo tv (che nel frattempo aveva conquistato il Telegatto quale «personaggio rivelazione dell'anno») di varare un programma mattutino: «Un'assoluta novità, nessuno nella televisione italiana l'aveva mai fatto prima. Ma Buongiorno Italia funzionò a un punto tale, che la Rai ci copiò subito con Buongiorno Raffaella . E fu la fortuna della Carrà e dei suoi fagioli».
Quando poi Columbro passò al preserale, gli ascolti furono subito tali da insidiare quelli dei contemporanei tg sulle reti Rai, fino a provocare l'allarmistico titolo di un famoso quotidiano romano: «Columbro destabilizza l'informazione». «Insomma, non potevo desiderare di più». Ma il destino aspettava dietro l'angolo. L'emorragia improvvisa, il ricovero d'urgenza, un mese in coma. «Forse ha ragione Pippo Baudo quando dice che in tv basta che ti assenti un attimo, ed è come se fossi sparito per sempre. Sta di fatto che, dal momento della mia malattia, e nonostante la completa guarigione, pur essendo tornato in piena forma in meno di un anno per i dirigenti Mediaset, come per quelli Rai, io sono ufficialmente morto. Nessuno più m'ha cercato. Mi hanno dimenticato totalmente. Di punto in bianco ero semplicemente sparito. E sono spariti pure loro». I titoli dei passati successi? Alcuni cancellati, altri passati a nomi diversi. La solidarietà dei colleghi? A parole per molti, solo per qualcuno anche nei fatti: «Lorella Cuccarini è stata una delle poche dell'ambiente a starmi sempre vicina. Una vera amica: sono tuttora molto legato a lei». Ma soprattutto il pubblico ha continuato a pensare a Marco Columbro; a volergli bene. «La gente comune mi cercava, mi chiedeva: “Ma ora che è tornato quello di prima, perché non torna in tv?”. E io non sapevo mai cosa rispondere».
Fu allora lo stesso presentatore a rompere gli indugi e a farsi vivo coi direttori di rete, della tv pubblica come della privata. Suggerì la ripresa dei vecchi programmi, «che però erano sempre troppo vecchi», o il lancio di nuove idee, «per le quali però non c'erano mai i soldi». A un certo punto Marco Columbro ha deciso. «Non potevo più continuare a chiedere l'elemosina». E ha fatto l'unica scelta possibile: tornare al suo primo amore. Il teatro. «Che poi è da sempre il mio vero lavoro». Perché pochi lo sanno ma prima di diventare presentatore Columbro era stato attore nella compagnia di Dario Fo, arrivando con lui fino al Teatro alla Scala per l' Histoire du Soldat di Stravinskij. «Una scuola inimitabile. La disinvoltura che avevo davanti alle telecamere l'avevo imparata lì. Anche se poi in tv, più che recitare, devi essere soprattutto te stesso». Già nel '94, quand'era ai vertici televisivi, il grande produttore Lucio Ardenzi gli aveva proposto di tornare sulle scene con Twist , accanto all'incantevole Lauretta Masiero. «Il mio agente era contrario: chi te lo fa fare?, mi diceva, si guadagna poco, che te ne frega del teatro? È il mio lavoro, rispondevo io».
Così rimettere piede sul palcoscenico è stato come tornare all'incoraggiante realtà dei suoi inizi. E stagione dopo stagione Columbro ha inanellato una serie di successi in classici dell'umorismo intelligente quali L'anatra all'arancia , Tootsie , Romantic Comedy , Il vizietto (quest'ultimo accanto ad Enzo Iacchetti) spesso premiati dal «biglietto d'oro»: il riconoscimento dei maggiori incassi teatrali. «Il teatro ti consente un'autonomia, decisionale e artistica, semplicemente impensabile in tv. Puoi scegliere tutto: testo, partner, produttore. In tv sono gli altri, a scegliere tutto per te. E nei tempi più stretti possibile: talmente stretti da stritolarti». Un solo neo: sulla scena i guadagni sono inversamente proporzionali alla libertà espressiva: «Si guadagna un millesimo, rispetto alla televisione. Ma pazienza. Finché dura c'è avventura».
E per Marco Columbro l'avventura prosegue in questi giorni, grazie al piccolo gioiello teatrale di Slade. «Una storia fantastica ma perfettamente plausibile. Lui e lei, entrambi sposati, hanno un'avventura fugace. Non possono frequentarsi regolarmente, e allora decidono di rincontrarsi nello stesso albergo “alla stessa ora il prossimo anno”. Per sei volte, nel corso d'un quarto di secolo, i due si ritroveranno, e riabbracceranno il proprio amore di volta in volta mutato, maturato, trasformato». Fra un quadro e l'altro filmati d'epoca illustrano quella che, alla fine «oltre che dei due protagonisti, diventa un po' la storia di tutta una generazione. Per questo il pubblico l'apprezza tanto. Perché, fra una risata e un ricordo, ritrova anche parte di se stesso».
Nel teatro brillante Columbro ha trovato il luogo ideale per esercitare il proprio talento: «È quando sei maturo, che apprezzi il piacere della leggerezza. L'intelligenza di far ridere su cose anche serie». Professionalmente appagato, oggi l'attore pensa ai successi televisivi d'un tempo quasi con distacco. «Il tempo è passato. Anche la tv è cambiata, non è più quella che facevo io, adesso la volgarità la fa da padrona quasi ovunque. E poi io lavoravo nel varietà. E dov'è, ora, il varietà?». La scorsa stagione i telespettatori l'hanno improvvisamente ritrovato come concorrente nel Si può fare! di Carlo Conti.
«Mi sono divertito. No, non ho provato particolari nostalgie. È stato solo un episodio? Chissà. La vita m'ha insegnato che, dietro l'angolo, non ci aspettano solo brutte sorprese. Ma qualche volta anche inattese fortune».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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