Algeri - Si può mai giustificare l’uso della forza? Che domanda scomoda, in Algeria. Paese arabo oggi a stragrande maggioranza musulmano, eppure di tradizione laica e perfino socialista, negli anni Novanta cadde nel più tremendo dei tranelli della democrazia, anzi nel suo paradosso: la vittoria alle elezioni di forze che negavano la democrazia, in nome di una visione integralista del Corano. L’affermazione dirompente del Fis comportò un decennio terribile di eccidi e repressioni, fino al ripristino di un ordine e di un delicatissimo equilibrio tra le ragioni di fondo della democrazia e quelle di un popolo che, sulla scorta del proprio disagio sociale, resta vittima delle sirene fondamentaliste.
È questo uno degli snodi centrali delle difficoltà interne degli Stati mediorientali, e si riflette non poco nel difficile rapporto fra Islam e mondo occidentale. Si può allora capire perché la vigilia del voto sull’Afghanistan, qui in Algeria, possa essere vissuta in modo diverso e più di largo raggio. Non legato alle solite diatribe sui voti di un governo pencolante, non al «rumor di sciabole» che il presidente del Senato, Franco Marini, giudica su questi temi «eccessivo e contraddittorio rispetto alla natura del problema».
Visitando il sito archeologico di Tipaza, Marini ricorda come gli speciali rapporti tra Italia e Algeria si siano cementati proprio durante quel tragico decennio di terrorismo islamico, dal quale ora il Paese sta faticosamente uscendo. In mattinata, dopo aver incontrato il capo del governo, Abdelaziz Belkhadem, e soprattutto l’ex ma ancora potentissimo presidente Adbelaziz Bouteflika, Marini è pronto non solo a difendere «l’importanza di tutte le missioni italiane all’estero», ma anche a esprimere chiaramente il suo auspicio affinché il governo sappia «mettere in condizioni i nostri ragazzi di difendersi e agire nel miglior modo possibile». Armi e condizioni di ingaggio adeguate al ruolo speciale della nostra missione: Marini è certo che su questi temi occorrerebbe trovare una larga, larghissima maggioranza parlamentare. E non si nasconde le difficoltà, «ma il mio sogno è quello che alla fine del dibattito anche al Senato il rifinanziamento della missione passi con voto largamente favorevole».
La dialettica politica «va capita» insiste Marini, ma alla fine dovrebbe trovare un «limite», ovvero «l’interesse dell’intera nazione per il ruolo svolto a livello internazionale». Dopo un dibattito «anche forte», ecco il sogno «accarezzato» dal presidente, «occorrerebbe mettere al centro la sicurezza e il ruolo che i nostri giovani svolgono in punti nevralgici del mondo». L’appello a Forza Italia e An affinché non facciano mancare alla fine i propri voti è manifesto. Perché «qui non si tratta dell’interesse di questa coalizione o di questo governo, ma dell’intero Paese». E come difendere i soldati italiani nel teatro sempre più di guerra? «Vanno messi in condizione di svolgere al meglio il loro ruolo. Ed è un compito del nostro governo. Difendersi e poter agire per gli obiettivi che dentro l’alleanza sotto egida Onu vengano ritenuti più idonei».
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