Mario Spreafico: "Il caso Telecom? I fondi non vogliono comandare"

Il direttore investimenti investimenti di Schroders Italia: "Dopo l’assemblea tutto come prima. Gli investitori puntano a creare valore, non alla gestione delle aziende"

Mario Spreafico: "Il caso Telecom?  
I fondi  non vogliono comandare"

Una rivoluzione sì, ma non così dirompente da essere in grado di aprire una falla nella contendibilità delle società. Il giorno dopo l’assemblea di Telecom, «marchiata» dall’en plein di Assogestioni (tre consiglieri sui tre riservati alle minoranze) e dalla conseguente estromissione di un socio di peso come la Findim dei Fossati, il direttore investimenti di Schroders Italia, Mario Spreafico, non sembra avere dubbi: i fondi continueranno a fare il loro mestiere, senza puntare a sovvertire la governance societaria.

Dottor Spreafico, l’introduzione della record date, che ha reso non più obbligatorio il deposito dei titoli il giorno dell’assemblea, sta consentendo agli investitori istituzionali di recitare un ruolo nuovo e con un peso diverso: si aprono nuovi scenari per società ritenute fino a ieri intoccabili negli assetti?
«Non credo. E per un motivo: l’obiettivo dei fondi è la creazione di valore, non la gestione di un’azienda. Senza considerare il fatto che risulta difficile per i gestori trovare punti di contatto su una materia così delicata come la governance».

Nel recente caso di Parmalat, però, abbiamo assistito all’alleanza tra fondi, poi rivelatasi determinante nella cessione del pacchetto a Lactalis.
«Proprio perché i fondi erano soltanto tre, è stato dunque più facile trovare un punto d’incontro. Diverso è il discorso quando i soggetti sono molti di più e hanno strategie non univoche».

La ricerca di una convergenza può, in effetti, essere ostacolata dalle politiche di portafoglio, spesso diverse...
«Sicuramente, ma non solo. Una società di gestione può anche disporre di una quota rilevante in una società minore, ma avere al tempo stesso un interesse molto limitato sotto il profilo della gestione di quella azienda».

Quindi, a suo avviso, la record date non introduce un elemento di maggiore vulnerabilità nel sistema finanziario. Non c’è, però, il pericolo che qualcuno interpreti l’attivismo assembleare dei fondi come una mossa tesa a orientare la governance societaria?
«È un sospetto che va subito allontanato. Ripeto: il nostro obiettivo è quello di creare valore. Non c’è alcune interesse nella conduzione societaria. Le banche stanno del resto risolvendo il conflitto di interesse che le vedeva azioniste di un fondo nel cui portafoglio comparivano quote di una società, magari controllata dalle stesse banche. Sotto questo aspetto, gli Stati Uniti hanno fatto da apripista, ora tocca a noi. In ogni caso, quando si parla di attivismo dei fondi, va fatta una opportuna distinzione. Un conto sono le assemblee ordinarie, un altro quelle straordinarie, le cui finalità sono altre. Pensiamo, per esempio, alle decisioni su un aumento di capitale: ecco, in quel caso i fondi possono avere un loro peso».

Quest’aria di novità introdotta con la

record date avrà ricadute sui fondi in termini di raccolta?
«Penso di sì, perché una maggiore rappresentanza dei fondi in consiglio verrà percepita come un modo per tutelare ancora di più gli investimenti».

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