Martino: «Resteremo in Afghanistan 10 anni»

La soddisfazione di Fini: «È finito il medioevo talebano: la democrazia è compatibile con una società musulmana»

Emanuela Fontana

da Roma

Se la missione italiana in Irak è in progressivo ritiro, in Afghanistan la presenza dei nostri militari sarà ancora molto lunga. La conferma è arrivata dal ministro della Difesa Antonio Martino il giorno dopo il voto per le politiche nel Paese. Un voto piuttosto pacifico, segnale che la democrazia nell’ex avamposto dei talebani «sta mettendo radici», ha commentato Martino. Ma così come ha deciso di fare l’Inghilterra, che progetta di rinforzare il contingente afghano con 6.500 uomini, anche l’Italia non lascia Kabul. Ci sono ospedali, ponti, strade e scuole da costruire, aveva chiarito qualche mese fa Martino. Il ministro aveva prospettato che l’impegno italiano in Afghanistan potrebbe proseguire «per quel decennio menzionato dal segretario della Nato».
Ieri il titolare della Difesa ha confermato queste previsioni: l’ipotesi del decennio di possibile presenza italiana «non è mia», ha chiarito commentando il voto afghano. È l’idea, ha poi ricordato, «del segretario generale della Nato (Jaap de Hoop Scheffer, ndr), a cui ho detto: averti citato mi ha procurato un sacco di critiche». Il Paese ha acquistato democrazia ma va «ricostruito»: «È importante - ha detto Martino - che le elezioni si siano svolte senza grossi incidenti. C’era il timore di atti di terrorismo, ma questi non si sono verificati. Gli afghani sono tornati alle urne e tra qualche settimana vedremo che tipo di Parlamento verrà formato». Sono tornati al voto dopo 35 anni, segno che «la democrazia sta mettendo radici in questo tormentato Paese».
Ma il lavoro della Nato rimane fondamentale, ha insistito il ministro: «Il suo nuovo compito è molto impegnativo, perché man mano che si estende la missione Isaf questa arriverà a coprire anche altri settori del Paese: il sud e l’est, e a quel punto avremo la possibilità di ricostruire questo martoriato Paese». L’Italia rimarrà per la costruzione, come altri Stati della Nato hanno deciso. Martino aveva già chiarito peraltro la scorsa settimana che l’Italia è favorevole all’ipotesi di un comando unificato Nato-Usa con l’accorpamento della forza multinazionale Isaf con l’operazione americana di lotta al terrorismo Enduring Freedom. Martino, in occasione di una riunione informale a Berlino con i colleghi europei, aveva augurato quantomeno una sinergia. L’Italia è presente in Afghanistan con 795 uomini della missione Isaf e 252 in supporto all’operazione Enduring Freedom. A questi si aggiungono altri 290 uomini del Provincial Reconstruction Team (Prt), sempre legato alla Nato.
Il ruolo dell’Italia nella missione Isaf è quello di «supportare i progetti di ricostruzione, comprese le infrastrutture sanitarie», «sostenere le operazioni di assistenza umanitaria» e addestrare esercito e polizia locale. Gli uomini impegnati con gli Usa nella lotta al terrorismo dell’operazione Enduring Freedom si devono occupare invece di contrasto alla rete di Al Qaida, anzi, devono mirare alla «distruzione dell’organizzazione terroristica Al Qaida, le sue infrastrutture e altri gruppi terroristici a essa collegati, anche attraverso operazioni militari», come si legge dalle direttive ufficiali del ministero della Difesa. Uno degli impegni principali delle forze Nato era infatti quello di garantire la tranquillità del voto alla vigilia dell’appuntamento del 18 settembre.
Con Martino, anche il ministro degli Esteri Gianfranco Fini si è congratulato con gli afghani per la buona riuscita delle elezioni di domenica, un appuntamento che ha dimostrato che «la democrazia è compatibile con una società ad ampia maggioranza musulmana», ha commentato Fini.

L’Afghanistan, ha aggiunto, «è uscito dalla fase medievale dei talebani». Il voto a Kabul contribuisce alla costruzione di quel Medio Oriente «inteso come punto di riferimento - ha concluso il vicepremier da New York - di culture non antitetiche a quelle europee od occidentali».

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