E alla fine Pietro Maso si è potuto sedere a tavola a pochi passi dalla sua Verona, con gli amici e con alcuni familiari, a festeggiare il suo trentacinquesimo compleanno. Ma perché il protagonista del delitto familiare più sconvolgente degli anni Novanta potesse lasciare per una manciata di giorni il carcere di Opera si è dovuto combattere l'ennesima puntata dello scontro tra pubblici ministeri e giudici: con la Procura di Milano fermamente contraria a qualsiasi tipo di concessione, e il Tribunale di sorveglianza ormai fiducioso nella possibilità di Maso di seguire un percorso di reinserimento. Uno scontro, quello tra pm e giudici, che si riproporrà, e in modo ben più pesante, tra pochi mesi: quando Marco De Giorgio, l'avvocato di Maso, chiederà, come prevede la legge, che il suo cliente ottenga la semilibertà. Che possa lasciare ogni giorno in carcere, andare a lavorare. E tornare nelle strade di Verona, nella città in cui il suo nome evoca ancora inevitabilmente l'orrore di quel mattino di aprile del 1991, quando i corpi dei due genitori di Maso apparvero ai primi carabinieri in un lago di sangue: solo il rumore dei tuoni aveva coperto le loro urla, mentre il figlio aiutato da un paio di amici li uccideva a colpi di bloccasterzo. Una prospettiva che la Procura ritiene assolutamente impraticabile.
Oggi Pietro Maso è un uomo maturo, che non ha indulgenze verso il suo passato, che rifiuta ostinatamente di spettacolarizzare la sua storia, di entrare nel gorgo dei talk show e degli amarcord, che vive con disagio lo scontro che si è svolto nei giorni scorsi intorno al suo caso. Negli ultimi anni Maso aveva goduto già di nove permessi. All'inizio di questo mese, una nuova nuova domanda: Maso punta a festeggiare a casa il suo compleanno. Giorno 17 di luglio, diciassettesimo compleanno da quando uccise i suoi genitori. Visto il buon andamento dei permessi precedenti, è convinto di avere l'okay anche della Procura. Invece la pratica arriva sul tavolo del pubblico ministero Nicola Piacente che a sorpresa dà parere contrario: per motivare il suo diniego il pm scrive semplicemente che «ci si riporta alla motivazione a sostegno del rigetto del primo permesso richiesto dal condannato con motivazioni che si ritiene che siano tuttora ostative alla concessione del permesso». È un parere che risale a cinque anni fa, quando la prima richiesta avanzata da Maso venne respinta per un motivo specifico: gli agenti di custodia avevano scoperto un suo intenso scambio epistolare con Gilberto Cavallini, neofascista dei Nar e rapinatore. Compresa una lettera in cui Maso definiva senza giri di parole il magistrato che si occupava di lui «una testa di cavolo».
Da allora sono passati cinque anni e nove permessi. Ma per la Procura le motivazioni di quel diniego sono tornate di colpo attuali. La legge penitenziaria prevede che, quando manca il consenso della Procura, a decidere sui benefici deve essere il tribunale di sorveglianza. Ed è il tribunale a dare ragione in pieno al difensore del detenuto: «In realtà, dopo quel primo rigetto - scrivono i giudici - Maso Pietro ha fruito di nove permessi con regolarità, pertanto non sono più attuali le argomentazioni poste a fondamento del primo rigetto». Permesso quindi concesso: quattro giorni più dodici ore, con le raccomandazioni di rito: non accompagnarsi a pregiudicati, restare in casa tra le 22 e le 7, eccetera. Solo due le località frequentabili oltre a Milano: Verona, dove vivono i parenti superstiti, e Sant'Anna di Altaedo, il comune - tra Veneto e Trentino - dove ha sede Telepace, l'emittente di don Guido Todeschini, divenuto da anni il padre spirituale del detenuto di Opera.
Così, Maso ha potuto spegnere le candeline nella sua terra, prima di fare tranquillamente ritorno nel carcere di via Ripamonti: dove si occupa della palestra insieme ad un ex agente dei servizi di sicurezza iracheni, Jabbar al Assadi.
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