Roma - Le reazioni più accese sono quelle dei laici della maggioranza. In particolare dei Radicali italiani che hanno lanciato la provocazione: vista la piega che ha preso il dibattito sulle coppie di fatto - hanno osservato il segretario Rita Bernardini e il capogruppo della Rosa nel pugno alla Camera Sergio Rovasio - il prossimo passo non potrà che essere l’abolizione del Concordato tra Stato e Chiesa. E la colpa sarà delle «continue violazioni delle sue disposizioni», l’ultima delle quali è rappresentata dal «no» esplicito della Chiesa ai Dico, cioè ai Pacs versione italiana. Sempre dalla Rosa nel pugno Daniele Capezzone si è chiesto se a Benedetto XVI, che è il «capo di uno Stato estero» arriveranno le stesse richieste di «non ingerenza» che l’esecutivo ha riservato ai sei ambasciatori del caso Afghanistan.
Per trovare altre esplicite prese di distanza bisogna saltare nell’altro versante della maggioranza. Tra i Verdi, il cui capogruppo alla Camera Angelo Bonelli, ha chiamato a raccolta «l’Italia laica» che «deve andare avanti e non cedere ai condizionamenti». Un’influenza che, secondo altri, la Chiesa ha già esercitato. C’è stata «un’ingerenza massiccia» e il risultato è «un testo un po’ strambo», è l'analisi del sottosegretario di Rifondazione comunista Alfonso Gianni. Oppure tra i militanti dei diritti degli omosessuali come il Ds Franco Grillini secondo il quale le intromissioni rappresentano «un’emergenza per la tenuta democratica del Paese». Oltre, si sfuma nella difesa di principi generali, come nel caso del senatore dipietrista Formisano che ha citato il «libera Chiesa in libero Stato». O nella diplomazia del segretario Ds Piero Fassino secondo il quale «è sbagliato chiedere alla Chiesa di tacere».
Prudenza che sarebbe riduttivo liquidare come rispetto per i credenti, visto che in ballo, oltre a questioni di coscienza, c’è la tenuta del governo. Il ministro alla Giustizia Clemente Mastella ha confermato che l’Udeur non cederà nemmeno in Parlamento. E ha messo le mani avanti, nel caso il premier Romano Prodi dovesse tentare il colpo di mano: «Non ho mai messo in discussione il governo, ma certo se qualcuno mi dicesse scegli se continuare a essere ministro o a votare no - ha annunciato il Guardasigilli - esco dal governo». Un gioco, destinato a rientrare quando il provvedimento arriverà al Senato, è la previsione del radicale Marco Pannella. Qualcosa di più serio per Fassino che non ha escluso su questo tema una possibile «articolazione di posizioni» della maggioranza. Per la Quercia sui Pacs sono quindi possibili maggioranze diverse. Un’eventualità già esclusa dal centrodestra. Ma che permetterebbe all’Udeur di mantenere la bandiera, evitando il possibile aut aut di Palazzo Chigi, evocato ieri dal prodiano Franco Monaco, con un richiamo ai gruppi dell’Ulivo «al dovere di non discostarsi» dalla linea.
A complicare un approdo tranquillo dei Dico ci sono le posizioni di chi - sempre Verdi, Rnp, Prc e Pdci - annuncia iniziative per rendere il provvedimento più radicale. E poi ci sono gli effetti collaterali sul già accidentato percorso di costruzione del Partito democratico. Questa volta la prima mossa è stata di Fassino che ha citato i Dico come esempio delle «sintesi» che Ds e Margherita dovrebbero trovare nel Pd. Una «grancassa» suonata «a sproposito», ha replicato il leader della sinistra Ds Fabio Mussi secondo il quale il caso dimostra semmai «la chiara esistenza di due partiti diversi». Controreplica di Francesco Tempestini, capo della segreteria di Fassino: la sinistra del partito «nega l’evidenza».
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