Si potrebbe dire bravo ma lento. Un anno dopo, qualcosa di più anche, Marco Materazzi svela e rivela la frase del secolo, le parole che hanno fatto saltare i nervi e la testa a Zinedine Zidane nella finale della coppa del mondo, addì Berlino, otto luglio duemila e sei. «Preferisco la puttana di tua sorella», la provocazione alle parole di Zidane che protestava per la marcatura stretta: «Se ci tieni tanto, la maglia te la regalo a fine partita». Il testo dell’intercettazione adesso è completa.
Tutto qui? si potrebbe dire, soltanto pensando e ricordando quello che quotidianamente acciuffiamo con l’orecchio in metrò, sul tram, a scuola e in ufficio. In un campo di football poi anche di peggio. Tutto qui? Ma lo sapevamo già, la moviola, il labiale, era chiaro, quasi. Ma in questa estate così piena di evasori e dopati, avevamo bisogno di qualcosa di goliardico. Dunque Materazzi si è confessato, verbo di gran moda, a Tv Sorrisi e Canzoni; ha atteso il tempo che ha voluto per ammettere il fatterello che fa parte del suo elegante repertorio, mentre il francese continua a non dare notizie in merito, evitando l’argomento, cioè una spiegazione, se mai possa esistere, di quella reazione violenta e criminale (che cosa sarebbe accaduto se avesse colpito l’avversario dalla parte del cuore?), preferendo, invece, rifugiarsi nel cono di luce creatogli da cortigiani e ruffiani.
Senza giustificare la volgare provocazione del difensore italiano, per qualcuno resta ancora misteriosa la ragione per la quale Zidane conservi l’immagine di icona del calcio mondiale, di esempio e punto di riferimento per i giovani. Mai nella storia del calcio un campione, da Pelè a Maradona, da Di Stefano a Cruyff, da Platini a Van Basten, da Riva a Zoff, ha macchiato la propria carriera con un gesto tanto violento (non unico per lui), e per di più in una finale mondiale, nell’ultima partita della sua carriera, davanti a un pubblico di due miliardi di spettatori. Eppure Zinedine Zidane è da tempo iscritto al partito degli intoccabili, la bandiera della banlieu che si è ribellata al potere (balla colossale nel caso specifico), il ragazzo di strada che con i sacrifici ha conquistato il palcoscenico (altra fuffa). È stata definita addirittura come opera d’arte il film «Zidane, ritratto del XXI secolo», pellicola girata da Douglas Gordon e Philippe Parreno, dedicata al francese, presentata a Cannes, all’insaputa di critici e pubblico, ripresentata all’Art Basel di Basilea, con lo stesso successo, il nulla a colori, spacciato per capolavoro, ispirato agli autori durante una visita al Prado davanti a un quadro di Velazquez. «Perché abbiamo scelto proprio Zidane? Perché è un gentleman!», rispose Parreno alla domanda di un giornalista francese. Un profeta, questo Philippe. Un film non sulla vita di Zidane ma su una partita di calcio, Real Madrid-Villarreal del 2005, finita 0 a 0 e con l’espulsione, guarda un po’ i casi della vita e della cinematografia, dello stesso protagonista. Per il quale vennero riservate in esclusiva diciassette telecamere.
Purtroppo la diciottesima telecamera, quella di Berlino, ha svolto il ruolo del piccione sul monumento. Il vero Zidane è questo: cupo, buio, introverso, solitario, capace di gesta e gesti unici, dribbling, gol e aggressioni come faceva da ragazzino nelle strade di Marsiglia e come ha fatto da calciatore con la maglia della Juventus e della nazionale francese, già in un altro mondiale, quello del Novantotto, con l’espulsione contro l’Arabia Saudita per essersi spazzolato le scarpe sul corpo di un avversario. Nel film, scrive ad esempio Maurizio Crosetti che ha curato il libro per Feltrinelli a corredo del dvd, «Zidane è un corpo vivo, sul quale diciassette telecamere compiono un’autopsia... Ma Zidane è anche pittura... E per decifrare il suo nocciolo profondo, il grumo d’istinto che non ha dimenticato le origini e che improvvisamente, periodicamente, riaffiora... ed è la testata, la reazione all’apparenza senza motivo, l’urlo che lo chiama...».
L’autopsia ha portato a questo referto, l’urlo può anche essere una frase mormorata da Materazzi ed ecco che la pittura si fa schizzo, ecco che il corpo vivo ha una testa dura, l’intoccabile si fa giustizia perché sa di avere avvocati e poeti pronti a difenderlo, giustificarlo, capirlo.
Tony Damascelli
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