Laura Novelli
I personaggi femminili sospesi tra sogno e realtà sono quelli che meglio le si addicono. Forse perché Milena Vukotic - sensibile attrice di teatro, cinema e televisione ben nota al grande pubblico anche per il simpatico personaggio della suocera di «Un medico in famiglia» («ci apprestiamo a girare altre ventisei nuove puntate», dice) - possiede già nella voce, nei tratti somatici, nel portamento signorile e lieve qualcosa che la fa sembrare eterea e misteriosa. La ricordiamo così nel bel lavoro «Lasciami andare, madre» di qualche stagione fa e, ancora prima, nella tagliente prova offertaci in «Prima della pensione» di Bernhard, accanto ad Umberto Orsini e Valeria Moriconi. Adesso la Vukotic porta sulle scene capitoline (al Ghione da stasera) «Il piccolo portinaio», opera prima del giovane Marco Amato (ne cura la regia Walter Manfré), dove veste i panni di una signora borghese che, nella Roma occupata del 44, riversa su un bambino non suo un amore smisurato e incondizionato, senza sapere che si tratta in realtà di un ebreo destinato ad un atroce destino. «Prima di ogni altra cosa - spiega lattrice - questo testo mi è piaciuto perché sa ben raccontare una storia di solitudine al femminile, di maternità mancata. Anna è una vedova tutto sommato frivola e superficiale che vive circondata di fantasie e di fantasmi, fino a quando larrivo del piccolo portinaio la trasforma completamente, la induce a prendersi cura di quel figlio mai avuto come fosse realmente suo». Ella dunque si costruisce unaltra realtà immaginaria, una seconda vita destinata anchessa, però, ad infrangersi. Quando, una notte come tante, le SS arrivano a casa sua e le portano via il bambino per deportarlo a Mathausen, Anna guarda «lorrore» ma non lo riconosce (come dirà poi in una battuta emblematica del testo). Un orrore devastante per entrambi. Perché alla morte del bimbo si accompagna la fine stessa della donna.
Repliche fino al 26 novembre. Informazioni allo 06/377229
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