Era quasi Natale, un anno fa. Il professore faticava a parlare. Il respiro stanco, su e giù, il ritmo segnato da lunghi sospiri. Accanto alla poltrona cerano le bombole dossigeno. Ogni tanto allungava la mano e con un gesto nervoso piazzava la mascherina bianca sul volto. «Mi tocca andare avanti così», diceva. Le parole erano lente, qualche volta dure, pronunciate con rabbia, altre morbide, come un sorriso. «Mi stanco in fretta. Questa chiacchierata dobbiamo farla a puntate. Un quarto dora al giorno. Ormai questa è la mia autonomia. Bastano?». Bastarono.
Nicola Matteucci non ha mai smesso di essere lucido. Neppure laltra notte, lultima di ottantanni di vita. Stava scrivendo per questo giornale, unanalisi sul ceto medio, quello tartassato, in cerca didentità, senza voce politica, sommerso, superato, un pezzo di spina dorsale di questo paese andato in frantumi. Ha scritto fino allultima riga. Quel giorno di quasi Natale aveva detto: «Senza la piccola iniziativa non cè vero mercato. Già Adam Smith ricordava che andiamo a comprare il pane tutti i giorni e scegliamo il negozio dove cè il fornaio che lo sa fare meglio». O dove costa meno. «Se vuole anche dove cè la fornaia più simpatica e carina. Basta che ci sia libertà».
I vecchi hanno pensieri strani. Non amano lipocrisia. Ne hanno vista troppa. Il professore era burbero, spiccio, un uomo senza scorciatoie. Detestava i professori di Stato e quelli di piazza, i boiardi delleconomia pianificata, gli adulatori, i riciclati, gli estremisti della domenica, i rivoluzionari in cardigan e con la minestra sempre calda sulla tavola. Certi discorsi e certi volti gli rovinavano ancora lumore. Nero con le Finanziarie da predoni. Nero con chi, per quieto vivere, è disposto ad accettare legemonia della cultura islamica. Nero con i pasdaran del laicismo. «Benedetto XVI ha detto: bandire Dio dalla vita pubblica non è tolleranza. Bene, sono con lui». Ti sorprendeva: «Lo sa chi è oggi il più pericoloso avversario del liberalismo?». No. «Il laicismo». Ma i liberali sono laici? «Ho detto laicismo. Il laico riconosce il primato morale della coscienza dellindividuo, il laicista considera invece lo Stato come interprete della verità. Tocqueville riteneva che la religione e le chiese fossero indispensabili per mantenere la libertà in una democrazia, perché ci allontanano dalla spinta esclusiva e alla fine distruttiva verso il benessere». Tocqueville, lautore più amato: «Ormai lo citano tutti, quasi sempre senza conoscerlo».
Il suo covo era la sede del Mulino, la sua rivista, fondata con alcuni amici nel 1951, quasi unaltra era. Si ritirava lì, in pieno centro, a due passi da piazza Santo Stefano, «la più bella di Bologna», dove si affacciano le finestre di casa Prodi. «Non cè un gran posto per lui in questo processo storico. Anche se ubbidisce ai ricatti di Bertinotti o alle lusinghe di Casini resta unanatra zoppa».
Il Mulino era la sua roccaforte. Qui Matteucci si è asserragliato negli anni bui, quando i liberali erano come fascisti, roba da ghetto. Quando londa della demagogia spazzava via lindividuo. Erano i tempi del 68, delloperaio massa, dei libretti rossi, della rivoluzione pret à porter, della democrazia di piazza, senza libertà. Matteucci fu un argine, un albero antico nel pensiero liberale italiano del Novecento. Ha raccontato quegli anni in un saggio di La società libera e i poteri neutri: «Abbiamo passato molti anni in cui i liberali dovevano o tacere o stare nascosti. Scrissi un saggio sul liberalismo, ma venni preso in giro in quanto largomento era un semplice oggetto di antiquariato da esporre in qualche mercatuccio di provincia. Chi mi prese in giro fu il grande corsivista de LUnità Fortebraccio. Mi definì il generale Dalla Chiesa del liberalismo. Fedele come sono stato ai miei giovanili principi liberali (ho studiato allIstituto Croce), poi improvvisamente ho scoperto che tutti erano diventati liberali. Mi sono trovato così spaesato, prima avevo unidentità da irridere, come faceva Fortebraccio; adesso dirsi liberali è presentare un biglietto da visita che hanno tutti. Però, in questa atmosfera nella quale tutti si definiscono liberali, scopro che quasi tutti credono di parlare di una cosa nota: invece cè una profonda ignoranza dei principi del liberalismo. Ci si definisce liberali nellaggettivo, ma non liberali nella sostanza».
Non è mai stato un sacerdote dellortodossia e non si è mai sentito un padre della patria: «Il liberalismo, come filosofia pratica, riguarda i valori e non la verità». La verità, se esiste, è una. Lui non ha mai creduto di averla in tasca. I valori, invece, sono tanti. «Ogni comunità politica - scriveva - è anche una comunità linguistica. Quella liberale è fondata sul dialogo, un dialogo senza logo, se per logo ne intendiamo uno metafisico o scientifico. Bisogna partire dallindividuo, che non è soltanto portatore di interessi, ma anche di opinioni, valori, simboli, perché soltanto lindividuo ha la capacità di dare un significato e un senso alle cose. Nel dialogo conta la persuasività dellargomentazione in un processo pubblico, che mette lautonomia di ciascuno in relazione con gli altri».
Non riconosceva neppure le categorie di destra e sinistra. Quando gli chiesero del libello in cui Bobbio fissava il confine tra questi due territori della politica, Matteucci rispose: «Non ho letto quel libro, solitamente leggo cose più intelligenti. Destra e sinistra, diceva Franklin Delano Roosevelt, sono termini da terza elementare». Si divertiva a sfidare il grande vecchio «lib-lab», il maestro piemontese del liberal-socialismo. «Mercato - spiegava - significa anche anarchia, non solo economica, ma anche nel campo delle idee, sempre sotto la sovranità delle legge. Da noi cè una tendenza al conformismo paurosa. Lo diceva anche Luigi Einaudi, altro liberale dimenticato, forse lautore italiano più attuale, più di Piero Gobetti. Lo dico, così Norberto Bobbio si incazza».
Matteucci ha scelto il liberalismo in tempo di guerra. È una storia che ha raccontato più volte. «La mia è stata una formazione lenta. Ebbi due grandi maestri, il cattolico liberale Felice Battaglia e Federico Chabod. Ma fu decisiva lesperienza della guerra. Ero sfollato con la mia famiglia e mi ritrovai in compagnia di una bellissima ragazza. Diventammo amici.
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