In Francia la sinistra ha vinto e la destra è stata sconfitta. Eppure «ha perso la classe politica nel suo insieme». A sostenerlo è uno dei più grandi intellettuali francesi, Max Gallo, i cui saggi continuano a svettare in cima alle classifiche dei libri più venduti. Ha il passo lungo, Gallo, che da storico raffinato, conosce benissimo la Francia, di ieri, di oggi e, forse, anche di domani, come dimostra in questa intervista concessa al Giornale, all’indomani del primo turno delle regionali.
Perché la classe politica è la vera perdente delle elezioni?
«Il dato più significativo è rappresentato dall’astensionismo. Il 53% dei francesi ha deciso di non recarsi alle urne, ben il 10% in più rispetto alle ultime regionali. È vero che, tradizionalmente, le elezioni locali suscitano meno interesse, ma in Francia il voto popolare ha una funzione fondamentale, è lo strumento attraverso il quale il cittadino afferma la propria cittadinanza, la propria fiducia nelle istituzioni, la legittimità del sistema democratico, molto più che negli altri Paesi».
E questo cosa significa?
«Che la maggior parte dei francesi non crede ai partiti, si sente abbandonata a se stessa. Nel Paese si è creata una frattura molto profonda e preoccupante, che ricorda la Francia del 1940 e che rischia di condizionare l’avvenire. I leader politici dovrebbero riflettere a fondo su questa situazione. Il sistema è gravemente malato».
Ma il partito socialista ha vinto...
«Certo. Bisogna però capire se si tratta di successo ottenuto grazie a un forte e convinto sostegno popolare o se si tratta di un voto di protesta».
E lei cosa crede?
«Penso alla seconda ipotesi. La Francia vive una forte crisi economica, sociale, istituzionale. E in questo contesto essere al governo non rappresenta certo un vantaggio, non soltanto in Francia peraltro. Gordon Brown e José Luis Rodríguez Zapatero non se la passano certo bene. Nel programma di Martine Aubry comunque non vedo grandi novità. Ormai il Partito socialista, come tutte le socialdemocrazie, è una forza conservatrice, che seduce i cittadini che cercano uno scudo contro i rischi e l’instabilità di questa epoca».
Sarkozy, comunque, esce battuto. Fine del progetto di una grande destra unita?
«È presto per valutare il futuro del centrodestra. La sconfitta è netta ed è spiegabile in parte con la crisi di metà mandato che da sempre penalizza il presidente in carica. Ma è chiaro che qualcosa si è incrinato ne rapporto tra il presidente e i cittadini».
Nel 2007 Sarkozy sapeva interpretare benissimo le esigenze più profonde del Paese. Oggi invece?
«Evidentemente ha perso questa capacità, anche perché la crisi finanziaria ha stravolto il suo programma. E la delusione ha accentuato la fuga degli elettori. In attesa di dati certi, l’impressione è che l’astensione sia stata più alta tra i sostenitori di centrodestra che tra quelli di centrosinistra. Certo, il paragone tra presidenziali e regionali è improprio, ma il duello Sarkozy-Royal aveva spinto alle urne l’83% degli elettori; a conferma della grande partecipazione democratica dei francesi, con un astensionismo di appena il 17%. La differenza rispetto a oggi è abissale».
E dunque cosa deve fare Sarkozy?
«Non spetta a me dargli consigli, ma credo che debba sforzarsi di creare un forte rapporto fiduciario con gli elettori e di far rinascere la speranza di una trasformazione autentica e duratura».
Ma il Fronte nazionale di Jean-Marie Le Pen non era defunto?
«Evidentemente in Francia resiste lo zoccolo duro di una destra populista, che in questo contesto di crisi riesce a raccogliere più facilmente consensi. Anche questo è un aspetto che va analizzato a mente fredda e, soprattutto, senza demonizzazioni, che non servono a nulla.
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