Cultura e Spettacoli

Il Maxxi è in crisi: bisogna osare di più

Gli italiani sono un popolo a cui piacciono i musei? Sembra di sì, e lo confermano i piazzamenti di tutto rispetto nella classifica dei top 100 del 2010 in quanto a numero di spettatori, appena pubblicata da Il Giornale dell’Arte. Settimi assoluti - primatista mondiale è il Louvre con 8.500.000 presenze - sono i Musei Vaticani con quasi 4.700.000 visite (400mila in più del 2009); 23esimi gli Uffizi, 30º il Palazzo Ducale di Venezia. Più staccati la Galleria dell’Accademia di Firenze, Castel Sant’Angelo, Palazzo Pitti e la Reggia di Caserta. Se invece analizziamo il dato nazionale, colpisce l’ottima performance torinese, con il Museo Egizio e il Museo del Cinema nei primi dieci, arricchita dal 14mo posto della Venaria Reale. A Milano, invece, il più apprezzato rimane il Museo della Scienza (16º posto, oltre 350 mila visite).
Numeri ben più magri interessano l’arte contemporanea: il risultato migliore è quello della Peggy Guggenheim Collection a Venezia (17mo posto, 333mila presenze circa), seguito dalla Fondazione Pinault, sempre in Laguna, con quasi 320mila. Aspettando di misurare l’impatto del Museo del Novecento a Milano, pareri discordanti sul Maxxi di Roma, con i suoi 218.410 visitatori ottenuti in sette mesi (lo spettacolare edificio di Zaha Hadid ha infatti aperto al pubblico nel maggio 2010), che vale il 31º posto in classifica.
Bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, dunque? Promosso o bocciato? Le considerazioni possibili sono di diversa natura. A chi si reca in visita all’ex caserma di via Guido Reni, il colpo d’occhio risulta comunque buono: il Maxxi appare un museo vivo, piuttosto frequentato, complice la recente inaugurazione di un ristorante che funziona bene soprattutto nel weekend con la proposta di un brunch peraltro non economicissimo (si spendono dai 18 ai 24 euro). È però legittimo il sospetto che la maggior parte del pubblico sia attratta più dal contenitore che dal contenuto. «Andiamo al Maxxi» suona oggi come l’«andiamo al Guggheneim di Bilbao» negli anni ’90. L’architettura, infatti, è il vero motore che spinge i non addetti ai lavori a inserire nel giro classico dei monumenti romani anche la cattedrale del contemporaneo, prova ne sia l’entusiasmo per la novità dei primi mesi e il successivo calo fisiologico dell’autunno-inverno.
Limiti del Maxxi? La collezione permanente non possiede un grande appeal né svolge quella funzione storico-didattica fondamentale invece al Pompidou o alla Tate. Parziale, lacunosa, talora arbitraria, soddisfa il gusto dominante in Italia negli ultimi quarant’anni. Il programma di mostre temporanee rivela un’assenza di strategia e una certa casualità negli accoppiamenti tra giovani proposte molto di nicchia e monumentali omaggi ai protagonisti dell’Arte Povera (quello attualmente in corso, fino ad agosto, dedicato a Michelangelo Pistoletto, è filologicamente ineccepibile ma non rappresenta di certo una novità nel panorama italiano). Nei prossimi mesi sono previste delle esposizioni che lasciano altri dubbi. «Indian Highway», panoramica sull’arte indiana, arriva in Italia vecchia di tre anni, già vista alla Serpentine Gallery di Londra nell’ottobre 2008, mentre la personale dell’inglese Otholit Group risulta criptica persino agli addetti ai lavori. Procedono invece a rilento le produzioni annunciate e dedicate a due artisti italiani di successo, come Lara Favaretto e Francesco Vezzoli.
Strano modo di gestire il museo d’arte contemporanea più importante d’Italia. L’arrivo del curator at large (termine pressoché intraducibile nella nostra lingua) Carlos Basualdo, molto impegnato nella direzione a Filadelfia, non ha finora apportato quel salto di qualità e quel profilo internazionale che ci si attendeva. Paradossale non si sia trovato un direttore “carismatico”, un personaggio di alta statura intellettuale e manageriale capace di portare a Roma eventi scoppiettanti e, magari, di far crescere dei giovani in grado di lavorare in autonomia. L’impressione è che sia stata fatta saltare la generazione successiva ai Celant e ai Bonito Oliva, forse per mancanza di fiducia o il solito vizio di conservare. I nostri giovani migliori, ormai tutti oltre la quarantina, si devono accontentare di operare in provincia, quando va bene.
Come far decollare il Maxxi, allora? Cominciando da un atto di coraggio: un museo del terzo millennio non può replicare temi e modi degli anni settanta..

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