E' un'icona. Anzi, no. E' un mito. Del resto, quando fu lanciata vent'anni fa, nel 1989, venne subito definita una «instant classic». Perchè aveva tutte le caratteristiche per diventarlo. I fatti (e il tempo) le hanno dato ragione. Molti di voi lo avranno già capito. Stiamo parlando di lei, la «reginetta» delle «sports car» di razza, la prima donna delle spyder, la «scoperta» più venduta e diffusa al mondo. Negli States si chiama «Miata»; qui da noi è definita da una sigla più anonima ma destinata a restare nella storia dell'automobilismo sportivo: MX-5. La Casa costruttrice - Mazda - è dall'altra parte del mondo: Hiroshima, Giappone. Il lancio, dicevamo. Ci fu subito il botto, che fece il giro del globo di giornale in giornale, di tv in tv. Nulla aveva fatto impressione dai tempi del lancio della Datsun 240Z, una ventina d'anni prima. Motivo: semplice semplice. Almeno in apparenza. Gli anni '80 erano stati davvero parchi (per usare un eufemismo) di proposte decenti in ambito automobilistico. Diciamolo francamente: una decade da dimenticare. Per non parlare delle sportive e, in particolare, delle «roadster»: una categoria data per spacciata, finita, morta, senza possibilità di rinascita o redenzione. E questo a cominciare dalle «culle» naturali dello spyder, vale a dire Inghilterra e Italia. Bene, a Hiroshima la pensavano diversamente. Senza farsi intimidire nè dalla blasonata concorrenza europea nè dalla mancanza di carisma nei mercati occidentali del marchio, i signori della Mazda hanno deciso di puntare pesante. Ispirandosi chiaramente e senza infingimenti a un modello di grandi fortune di Casa Lotus - la indimenticabile Elan degli anni '60 -, designer e ingegneri nipponici hanno tentato l'impossibile. Vale a dire riproporre uno spyder dai canoni classici (motore anteriore longitudinale, trazione posteriore), di cilindrata media (1.6 - 1.8 litri), propulsore leggero e compatto di grande raffinatezza (quattro cilindri in alluminio con doppio albero a camme in testa: come il classico motore di casa Alfa, per intenderci) e, «last but not least»di costi e consumi contenuti. Risultato: un successo mai più ripetuto (e verosimilmente mai più ripetibile) che dura tutt'oggi. Attraverso tre generazioni, la «Miata» (ci piace chiamarla affettuosamente così) domina stabilmente le classifiche delle «roadster» più apprezzate. E più affidabili. Recentemente, la rivista americana «Road&Track», in seguito a un sondaggio tra gli automobilisti, l'ha proiettata nell'empireo delle vetture più affidabili di sempre, con meno difetti in assoluto nell'arco dell'utilizzo anche in condizioni climatiche estreme (leggi Canada e Stati uniti settentrionali) e, di conseguenza, con costi di manutenzione ridotti all'osso. Oggi, dicevamo, siamo alla terza generazione. La vettura è stata completamente reimpostata, a differenza del restyling sopraggiunto nel '97. Ma mantenendo il dna di «roadster» purosangue, brillante, divertente, dall'handling impareggiabile, dichiaratamente bisex e dal rapporto qualità-prezzo irraggiungibile, anche su questo lato dell'Atlantico. Si, questo terzo modello è certamente più raffinato: proposto anche in una versione 2.0 litri da 160 cavalli con un nuovo (e precisissimo) cambio a sei marce, la vettura risulta decisamente più rigida e adatta anche a palati più esigenti, soprattutto nella guida sul misto. Ma il fascino non è cambiato. Mazda, per esigenze modaiole, ha dotato a richiesta il modello di tetto rigido ripiegabile elettricamente. Ma le vendite premiano incontestabilmente lo spyder vero, con il classico tettuccio «soft». Bene, cara Miata, ti meriti proprio questo brindisi per i tuoi primi vent'anni di successi.
E almeno altrettanti te ne auguriamo! Per chi volesse saperne di più, segnaliamo un ottimo e completo volume, dal titolo «MX-5 Miata - The book of the world's favourite sportscar» (in inglese), edito dalla casa specialistica Veloce (euro 36).- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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