McCarthy e la sua Lettera 32 Non è un Paese per feticisti...

Noi, qui al Giornale, sebbene da tempo riconvertiti alle nuove tecnologie, coltiviamo ancora il mito della Lettera 22 di Montanelli. Da lì uscivano i suoi fondi che di questi tempi i nostri lettori possono riassaporare. Su quel carrello rumoroso e sotto quei tasti ballerini si è fatta la storia del giornalismo italiano. E ora il ticchettare di Vittorio Feltri, anch’egli fiero avversario del computer, ci riporta alla lunga epopea di Indro. Quando si dice i corsi e ricorsi della storia...
Non è il caso di scomodare Marshall McLuhan per sdottorare sul mezzo che coincide con il messaggio. Diciamo, più semplicemente, che l’autore è in buona parte ciò che scrive. E che lo strumento con cui egli scrive influenza il contenuto, il senso del suo testo. Dunque, l’autore è anche, a esempio, la propria macchina per scrivere.
Ora, non sappiamo se il rapporto che legava Cormac McCarthy alla Lettera 32 acquistata 46 anni fa fosse simbiotico come quello fra Indro e la sua Lettera 22. Ma siamo certi che, da ieri, gli ammiratori dell’autore di Meridiano di sangue e La strada devono aspettarsi un nuovo McCarthy. Perché il buon Cormac, alla verde età di 76 anni, ha consumato unilateralmente il divorzio da una «lei» ormai decrepita. E subito ha provveduto... ad acquistarne un’altra identica. «Credo che il mio amico John Miller - ha confidato lo scrittore al New York Times - l’abbia pagata 11 dollari a un mercatino dell’usato, meno dei 19,95 dollari della spedizione». La vecchia Lettera 32, manco a dirlo, andrà all’asta, e il ricavato verrà devoluto al Santa Fe Institute, un’organizzazione di ricerca non profit. Valore stimato: fra i 15 e i 20mila dollari, una bazzecola.
Scarno, senza fronzoli com’è nel suo stile, il congedo di McCarthy dalla compagna di tanti romanzi, commedie e racconti: «Non l’ho mai fatta riparare, né pulire. Ho solo tolto la polvere, di tanto in tanto, con un compressore d’aria. Con quella macchina ho scritto tutti i miei libri, compresi tre volumi che non ho mai pubblicato. Tutte le bozze e la mia corrispondenza. Fatti i calcoli, sono circa cinque milioni di parole in circa mezzo secolo». Ma bando alla commozione, the show must go on, deve aver pensato il Nostro. «Non è un paese per vecchie macchine da scrivere», ha titolato ironicamente il NYT parafrasando il titolo del suo romanzo datato 2005 che ha ispirato l’omonimo film dei fratelli Coen.
A pensarci bene, non è nemmeno un Paese per vecchi feticisti di oggetti letterari, quello nel quale oggi viviamo. Penne e taccuini, scrivanie e diari, comodini e lampade sono roba da collocare nei musei o, come abbiamo visto, da mettere all’asta. Oppure, si ripiega comodamente sulle case-museo: di Dickens o Goethe, di Musil o Puskin. E chi non riesce ad andarci fisicamente, può sempre farvi una visita virtuale (si veda il sito http://www.museumland.com/case_persone_famose/scrittori.html).
Tuttavia il lettore «positivamente passatista» indulge, seguendo il filo della memoria, a costruirsi un personalissimo «sacrario» dove rifugiarsi quando, preso dallo sconforto di fronte alla letteratura «usa e getta» e a romanzi «d’occasione», desideri tornare nella terra dei Padri Fondatori, magari lasciando perdere le macchine per scrivere... Sono madeleine da intingere non nel tè, bensì nell’inchiostro. Avvertiamo il lieve scricchiolio di una penna d’oca accompagnato dai sospiri d’amor perduto del poeta romantico? Ecco materializzarsi il fiero volto imbronciato di un Byron e di un Keats. Sentiamo l’odore di una candela che brucia illuminando una stanza immersa nel silenzio notturno? Subito si staglia l’imponente sagoma infagottata di un Tolstoj o di un Hugo, ingobbita sul foglio dove sta prendendo forma un nuovo personaggio. Vediamo un mozzicone di matita muoversi lentamente su un foglietto spiegazzato mentre intorno il bosco tace e il vento si placa? È Nietzsche che fa parlare Zarathustra, oppure Walser che distilla il frutto di una folle passeggiata.
Perversioni? Forse. Ma, se non altro, è tutto gratis. Invece ieri un tale, a Parigi, per aggiudicarsi una copia originale dei Fiori del male di Charles Baudelaire con dedica dell’autore all’amico Narcisse Ancelle ha sborsato la bellezza di 775mila euro.
Non siamo certi che Cormac McCarthy, per tornare a lui, approverebbe. «L’estate scorsa - ha dichiarato ieri - alcuni studenti mi vennero a trovare.

Ero nel mio ufficio a battere sui tasti, quando uno di questi s’affacciò nella mia stanza e, piuttosto incuriosito, mi chiese, indicandomi la macchina: “Mi scusi, ma cos’è”?». Magari quel povero ragazzo, se avrà avuto dei buoni insegnanti, fra una cinquantina d’anni durante un’asta offrirà una cifra spropositata per il dischetto originale di Twilight.

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