Forse non esisteranno più i radical chic, ma di sicuro esistono le «radical grrrls». Una delle più arrabbiate è la scrittrice Jenny McPhee, di cui è appena uscito in Italia Questioni per niente ordinarie (Sperling&Kupfer, pagg. 308, euro 15), secondo romanzo dopo Il centro delle cose (Neri Pozza). Nei suoi geni è iscritto tutto ciò che caratterizza una lobster liberal: antenate come Lady Marian di Scozia, che domava cavalli e sinteressava di medicina; un padre, John McPhee, il saggista di Il controllo della natura (Adelphi), noto giornalista del New Yorker; solo sorelle, una più intellectually chic dellaltra - Martha, scrittrice finalista al National Book Award, Sarah, accademica e storica dellarte, Laura, art photographer collezionata dal Metropolitan e dal Paul Getty Museum - e infine ricordi dinfanzia come la casa della nonna Thelma, nel Maine, sul cui tetto la bandiera americana sventola alla brezza dellAtlantico.
Sicché si capisce che se Jenny ha qualcosa da dire, fermarla è difficile. Dopo aver collaborato per anni con Zoetrope e ora con il New York Times, qualche tempo fa ha deciso di affidare alle pagine del supplemento domenicale del Nyt un saggio sulla decisione di dotare i suoi figli anche del proprio cognome, oltre a quello del papà, ingegnere toscano: «Le reazioni degli americani hanno sollevato un battage che mi ha portato in giro per i principali talk show. Mi trovavo di fronte maschi infuriati e donne che mi accusavano: Rovinerai la vita dei tuoi figli! A scuola li prenderanno tutti in giro!. Per quanto mi riguarda, quando sento i miei figli pronunciare il loro cognome per intero, scoppio di felicità».
Lei fa parte della cosiddetta aristocrazia intellettuale americana dellEast Coast. Dica la verità: esistono ancora i radical chic?
«Sfortunatamente, non mi sento parte di nessuna élite, anche se le confesso che mi piacerebbe. Perché vede, lAmerica è grande, New York City è ancora più grande e ci sono scrittori di tutti i generi: smart, sofisticati, in, out, radical chic, radical unchic, di successo e underground. Eppure le garantisco che ovunque mi volti, esiste ununica lobby o aristocrazia letteraria: quella dei maschi».
Una giornalista di gossip è protagonista de Il centro delle cose, una sceneggiatrice di fiction di New York di Questioni per niente ordinarie: tra star system e media, quali sono le manie e le mode degli East Coast intellectuals, oggi?
«Lunica mania o moda che la tv o giornali di élite dellEast Coast come il New Yorker, la New York Review of Books, lAtlantic Monthly, Harpers e il New York Times abbiano in comune è lassoluta supremazia maschile. Le donne sono poche, pochissime. A meno che non si tratti di un giornale di moda. Eppure il compito principale del giornalismo culturale americano oggi è quello di selezionare il meglio e le donne sono le uniche ancora capaci di sorprendere».
Ma chi comanda questa élite intellettuale maschile?
«Uno dei risultati del capitalismo combinato con la democrazia è lascesa del mediocre. Tutti si arrogano il diritto di parlare di tutto e questo moltiplica le voci e il numero dei libri. E non lascia davvero spazio a nessuno».
E che ci dice di Oprah Winfrey e dei television book clubs? Utili o dannosi alla cultura?
«Do ut des: Oprah presenta i libri a milioni di persone che la seguono e li comprano. In cambio, perché il pubblico la guardi, Oprah deve scegliere libri popolari. Libri che sfidino davvero i gusti del pubblico sono destinati a languire. Ma tutto sommato va bene così. Lunico vero pericolo per la cultura è quello di sempre: la censura o, peggio, lautocensura».
Qual è il centro del mondo letterario, oggi? New York?
«Potrei dire Internet. Tuttavia, un vero centro non cè. Gli uomini fanno i giornali, i prezzi e le regole della cultura senza esserne il centro, dato che a leggere e scrivere sono le donne».
Insieme alle sue sorelle, ha scritto Girls, un libro su che cosa significhi essere ragazze oggi. Come si riconosce una ragazza normale da una straordinaria?
«Il femminismo ha fatto un ottimo lavoro nel portare alla luce alcune patologie delle adolescenti: anoressia, bulimia, shopping compulsivo.
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