Roma - È decollato dal Lussemburgo, ancora immerso in una dimensione tutta europea ed è atterrato a Roma nel mezzo di una bufera politica tutta italiana che gli ha fatto sembrare il declassamento di Moody’s e la crisi dell’euro una passeggiata. Giulio Tremonti si è ritrovato in un ambiente più ostile del solito e il day after dell’Ecofin l’ha trascorso a ricucire dove poteva ricucire senza farsi troppo male (in particolare la gaffe sulle elezioni spagnole, un peccato veniale), a dare battaglia sulle partite che ritiene più importanti, come quella per il governatore di Bankitalia. E, più in generale, a cercare sponde politiche più solide.
Nella notte di martedì l’incontro notturno con Silvio Berlusconi, ieri una giornata da deputato alla Camera a votare. Poi gli incontri con il segretario del Pdl Angelino Alfano e il ministro leghista Roberto Calderoli. La frase sul rating e sugli spread che favoriscono la Spagna perché Madrid ha annunciato elezioni, al di fuori delle opposizioni, è stata presa malissimo. Giuliano Ferrara, ospite di Agorà su Rai3, ha interpretato gli umori pidiellini più focosi bollandolo come «un tributarista di genio e per metà un bambino capriccioso e un colossale imbroglione». Il sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto, ha portato alle estremo il suo ruolo di contraltare di via XX settembre, chiedendo esplicitamente al ministro di farsi da parte. «Tremonti è un problema. Si dimetta se pensa che questo governo è un ostacolo alla crescita dell’Italia. Se fossi Berlusconi sarei furibondo». La triplice smentita di martedì non è bastata all’esponente Pdl («Se uno dice delle cose significa che le pensa»).
Tremonti ieri ha spiegato a colleghi inferociti che la battuta sulle elezioni era proprio rivolta alla Spagna, non era un’allusione a quello che servirebbe all’Italia. Ce l’aveva proprio con Madrid e, almeno questa volta, non aveva nessuna voglia di lanciare frecciate all’esecutivo. Ieri è stato sentito persino ammettere di avere fatto «mezza gaffe». Mea culpa inedito per il ministro. Talmente dissonante che buona parte del Pdl non ci crede: «Forse parlava di Spagna, ma quelle cose le pensa».
Le frecciate, ha risposto il ministro, erano tutte per Zapatero, primo ministro di Madrid. Leader di un Paese che subito prima della crisi aveva i fondamentali migliori dell’Europa e che ha dilapidato questo patrimonio. Il contrario dell’Italia che era partita svantaggiata, ma ha comunque garantito la tenuta dei conti. Sforzi che agenzie di rating e investitori non ci hanno riconosciuto. Incidente archiviato per chi, nel Pdl, punta a recuperare il rapporto tra Tremonti e gli altri ministri. Ad esempio il presidente dei senatori Pdl, Maurizio Gasparri, lo ha incrociato e non ne ha fatto minimamente accenno. «Abbiamo parlato di sviluppo - ha raccontato -, ho spiegato che i deputati sono disposti a dare il loro contributo, anche se sappiamo che i margini sono risicati».
Altri si sono spesi per non peggiorare la situazione, ma il timore di via XX settembre è che a partire dagli incontri di oggi (il consiglio dei ministri, il faccia a faccia con Berlusconi e poi il vertice sullo sviluppo) si scateni la caccia al superministro secondo uno schema rovesciato rispetto a quello che è passato martedì con la gaffe sulle elezioni. In sostanza Tremonti rischia di doversi fare carico, in quanto ministro dell’Economia, del nuovo declassamento da parte di Moody’s e del clima di sfiducia nei confronti dell’Italia.
A rendere ancora più complicato il tutto, c’è la partita per Bankitalia e quella sui tagli ai ministeri. A via XX settembre sono convinti che la bufera di questi giorni sia dovuta praticamente solo a questo, alle resistenze dei ministri ai sei miliardi di tagli, ancora tutti da attuare.
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