Un medico su due non si lava le mani

Negli ospedali italiani un medico su due non si lava le mani fra una visita e l'altra, mettendo i pazienti a rischio di pericolose infezioni. E chi si ricorda di farlo, dedica alla pulizia a malapena dieci secondi, tralasciando di asciugarsi le mani quattro volte su cinque. A rischio soprattutto i reparti di terapia intensiva, dove nella concitazione delle cure un medico su dieci dimentica acqua e sapone. È l'allarme lanciato dagli esperti riuniti a Firenze per il VII Congresso europeo di chemioterapia e infezioni. «Lavarsi le mani è il primo e più semplice modo per evitare il diffondersi delle infezioni, come ha evidenziato di recente l'Organizzazione mondiale della sanità. Ma ancora oggi questa buona abitudine è appannaggio di pochi», sottolinea Teresita Mazzei, presidente del congresso e ordinario di chemioterapia al Dipartimento di farmacologia dell'università di Firenze. Sono proprio le mani dei camici bianchi le maggiori responsabili della diffusione delle infezioni ospedaliere, che colpiscono milioni di pazienti: almeno il 15% dei ricoverati in ospedale contrae un'infezione durante la degenza, con pesanti conseguenze in termini di mortalità, disabilità e spese aggiuntive per i Servizi sanitari. «La fretta nel passare da un paziente grave all'altro non può essere addotta a scusa per una scarsa igiene - prosegue Mazzei -. Il rischio di trasmettere infezioni aumenta molto». Basta poco per risolvere il problema, visto che sono disponibili soluzioni e saponi efficaci per la pulizia e al tempo stesso più semplici da usare rispetto all'acqua e sapone.

Con questi metodi si può convincere un medico su quattro a lavarsi le mani e non si rendono inutili le terapie antibiotiche».  Di recente l'Oms ha presentato a Ginevra le «Linee guida sulla corretta igiene delle mani», che i medici saranno tenuti ad applicare prima di effettuare prelievi, iniezioni o qualunque altra pratica clinica.

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