Meglio stare ancora alla larga da banche e assicurazioni

In Borsa i settori e i titoli azionari non sono affatto uguali. E, soprattutto in un momento come questo, non hanno lo stesso fascino per un potenziale investitore. Ma c’è un settore, quello dei finanziari, che più degli altri è consigliabile evitare. «Non tanto per le valutazioni che a questi prezzi sono davvero molto compresse, quanto piuttosto per un preciso motivo tecnico: il pericolo nazionalizzazione», sostiene Alessandro Ceccaroni amministratore delegato e gestore di Agora, società di gestione indipendente del risparmio.
Secondo Ceccaroni, infatti, se l’azione dei governi nel salvare le banche va nella direzione giusta per salvaguardare i risparmi dei cittadini questo finisce poi per diventare un boomerang per le aziende di credito. Basti pensare a quello che è già accaduto alla Bear Stearns negli Stati Uniti o alla Northern Rock nel Regno Unito che sono state salvate dalla nazionalizzazione o da un intervento pubblico ma dopo aver praticamente azzerato il loro valore di Borsa. E che il pericolo di una forte svalutazione del prezzo di Borsa valga anche nel caso di un intervento teso al solo sostegno del gruppo, lo dimostra il caso del colosso assicurativo statunitense Aig, salvato dal maxi finanziamento pubblico, ma che ha perso a Wall Street oltre il 90% del suo valore.
Per questa ragione, sebbene i titoli bancari europei siano meno esposti al rischio di quelli dei paesi di cultura anglosassone, è meglio non investirvi. E per quanto riguarda le banche italiane? Si potrebbe dire che, a maggior ragione di quelle europee, le aziende di credito del nostro paese dovrebbero essere più protette dai rischi di contagio dai cosiddetti «investimenti tossici» (leggi bond strutturati e prodotti finanziari con sottostanti che non possono essere valorizzati). Inoltre le sofferenze (ovvero i crediti che difficilmente potranno essere riscossi) si mantengono su livelli statisticamente inferiori alla media europea. Allo stesso tempo lo stretto contatto con il tessuto industriale del Paese, e delle piccole e medie imprese più in particolare, le ha portate a preferire il ricorso al credito all’industria piuttosto che lo sviluppo dei prodotti e dei servizi finanziari.

«In tutti i casi - conclude Ceccaroni - suggerirei di stare alla larga anche dagli assicurativi che, sono meno a rischio rispetto ai bancari, ma comunque molto meno appetibili di industriali, petroliferi e titoli del settore materie prime».

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