Controcultura

La mela è bacata. I miti col tarlo di un'epoca votata alle divinità pop

Le industrie delle vacanze e del divertimento producono fenomeni mondiali ma effimeri. L'identità italiana poggia invece su fondamenta capaci di durare nel tempo

La mela è bacata. I miti col tarlo di un'epoca votata alle divinità pop

«Narrazione o storytelling. Cosiil mito è banalizzato nell'intrattenimento, degradato a fiction, cartoon e fiaba, sconnesso da un'origine e trascendenza, ridotto a sceneggiatura». Non so voi, io tutte le numerose volte che negli ultimi due o tre anni (suppergiù la stagione renziana e tardo-obamiana) ho letto in un articolo queste due paroline, narrazione e storytelling, da sole o in coppia, mi è preso il fastidio e ho voltato pagina. Finalmente so perché, grazie a Marcello Veneziani e al suo Alla luce del mito (Marsilio) da cui ho tratto il virgolettato. Il mito è una cosa seria, il mito è una cosa importante, «il mito è per la storia quel che l'anima è per il corpo» e vederlo ridotto a montatura di corto raggio, a fanfaluca elettorale, mette come minimo tristezza. Certo non è più il tempo dei grandi miti di fondazione, dell'Eneide e della Chanson de Roland: chissà se i supplenti, protagonisti della scuola nuovamente dominata dai sindacati grazie alla ministra cigiellina Fedeli, fanno studiare ai ragazzi la poesia epica... Sarebbe incoraggiante e però alquanto strano che nelle classi multiculturali si leggessero le gesta del Cid Campeador, eroe della Reconquista ossia della liberazione della Spagna dal giogo musulmano. Peccato, perché i poemi cavallereschi sono datati nella forma e però attualissimi nella sostanza come dimostra l'Orlando Furioso, ambientato al «tempo che passaro i Mori / d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto»: Ariosto allude al massacro di Roncisvalle o a quello del Bataclan? A Carlo Martello o a Charlie Hebdo? Non sono interrogativi assurdi perché il vero mito è eterno, non ha età né scadenza a differenza dei suoi surrogati che sono i cosiddetti miti generazionali, cinematografici, musicali, mediatici: «Miti momentanei, come gli dei momentanei di cui scrisse Hermann Usener, divinità passeggere, presto superate da nuovi miti. La loro eternità dura un cambio di stagione, un volgere di mode». Qui mi è venuto in mente George Michael, la divinità più passeggera fra i tanti illustri defunti del 2016. Se David Bowie e Leonard Cohen sono morti sul piedistallo riservato ai classici, l'ex cantante degli Wham! dal piedistallo era stato fatto scendere molte stagioni fa. Era un mito scaduto e lui stesso, a giudicare dall'inquietudine e dagli abusi, doveva esserne consapevole. Altro che dimensione extratemporale: inchiodato agli anni Ottanta. Con l'unica consolazione del conto in banca perché almeno aveva fatto i soldi, che non sono un passaporto per l'eternità però meglio che niente, mentre ai miti da quindici minuti prodotti da X Factor tocca trovarsi un lavoro appena si spengono le telecamere. Non c'è limite al degrado del mito...

Veneziani, novello Roland Barthes, analizza un altro mito d'oggi, Steve Jobs, il fondatore di un «paradossale esoterismo di massa, con un rito di iniziazione su base commerciale». Ho letto con particolare attenzione le pagine dedicate al caso Apple perché sto cercando di disintossicarmi dalla mela morsicata anche se finora, devo ammetterlo, non ho ottenuto grandi risultati (ho ancora un MacAir, un MacBook Pro e un iPad). Mai avrei voluto riconoscermi nella descrizione di un acquirente che non è un semplice cliente bensì un affiliato «entrato nella sfera mitica di un culto», tuttavia parecchi anni fa, appena entrato nel MacTunnel, guardavo i proprietari di computer Hp dall'alto in basso. Anch'io obnubilato da un falso mito. Comunque oggi sono sinceramente pentito di tanta sciocca superbia e mi ritengo quasi pronto (sottolineo il quasi) per scrivere i miei articoli su un Asus del tutto privo di mitologiche velleità.

Infine il mito italiano, il mito nazionale che certo non è nato oggi ma ancora oggi, nonostante la vecchiaia, ha la forza di influire positivamente sulle nostre vite. «Fosse per la realtà di fatto, per gli indicatori biologici, anagrafici, sociali ed economici, l'Italia dovrebbe essere già morta. Il cuore non batte, la mente non pensa o è altrove; i morti superano i nati, i vecchi superano i giovani, i singoli e i separati superano i congiunti, il debito supera il Pil». L'identità italiana, spiega Veneziani, sopravvive grazie alla sua rappresentazione, alla favola bella che ieri ci illuse e che tuttora illude coloro che nel mondo corrono a comprare Ferrari e parmigiano, prosecco e Ferragamo.

Sia lodato il mito, dunque.

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