da Roma
Quando la raggiunge la notizia dell’indagine-choc, visto che è una trentenne anche lei, Giorgia Meloni, ministro della gioventù, sta prendendo un aperitivo al ritorno dal mare, in un locale affollato, come migliaia di suoi coetanei nello stesso momento. E se le si chiede un parere sull’immagine di una generazione a rischio-droga, non ha il minimo dubbio: «È un problema che è stato troppo a lungo sottovalutato. Esiste una vera e propria emergenza, che non può essere affrontata solo quando c’è il mostro di turno da sbattere in prima pagina».
Ministro Meloni, «emergenza» è una parola grossa.
«No, guardi, è la parola giusta. So di cosa parlo, perché questa è la mia vita, quella dei miei amici, quella dei miei coetanei: la mia, la nostra, è la generazione dell’insicurezza strutturale».
Lei pensa che le droghe siano figlie di un disagio?
«Per capirlo non c’è bisogno di qualche ricerca demografico-sanitaria! È il modo in cui i giovani vivono nella società, l’assenza di qualsiasi certezza, che li espone alla tentazione dell’evasione perenne».
Vuol dire che si può passare dall’insicurezza alle pasticche?
«Oh, sì, molto spesso e molto facilmente. Ti senti debole, privo di identità: e allora la forza che non hai te la danno il tuo branco e le pastiglie. La gioia che non riesci a trovare la insegui sulle ali dello sballo».
Non crede che ci sia un rischio giustificazionista?
«Ma il mio discorso è esattamente l’opposto! Sono i media e la società di oggi che giustificano. Io credo che si debba ribaltare lo schema».
Ovvero?
«Per me è vitale far capire ai ragazzi che chi si impasticca dalla mattina alla sera è una sfigato. Non è un vincente, ma un mezzo fallito».
Ma chi è che costruisce questa «morale dello sballo»?
«Guardi, basta che lei accenda la radio e senta uno dei cento gruppi che inneggiano alle canne o agli acidi».
Nomi, nomi...
«Nomi? Ma basta scorrere la hit parade. C’è un gruppo che si chiama Prozac: secondo lei è perché sono sponsorizzati da una ditta farmaceutica?».
Anche nel centrodestra c’è chi dice che la soluzione sia chiudere prima i locali.
« (sospira) ... ».
Non sospiri. Mi dica.
«La metto così: il problema è chiudere prima i locali, o cercare di capire cosa ci succede dentro? Se te ne vai a casa a mezzanotte, come Cenerentola, la pasticca non la prendi più?».
E se uno provasse a capire, come dice lei?
«Magari salviamo qualche vita di più. Ad esempio se i buttafuori, invece di sbattere fuori a calci quello che è strafatto, sono in grado di rimetterlo in piedi o di capire se ha bisogno di assistenza, e quale».
Bisognerebbe formarli, allora.
«Esatto. Diamogli una preparazione, e un patentino, e magari salviamo qualche vita. Però, ripeto, non sono solo le discoteche il problema».
In che senso?
«Mi ha colpito molto la storia della madre che si è buttata con il figlio in preda alle allucinazioni... Era a casa sua!».
Ha detto che trovare la droga è facilissimo.
«Appunto. E ora è diventata la prima combattente contro le droghe. Come la ragazza che è finita in coma per una pasticca e ora gira le scuole a raccontare la sua storia».
Lei vorrebbe che non fosse un caso isolato...
«Quando parliamo di educazione alla cittadinanza, penso a cose come questa».
Pensa che questo sia utile?
«Vale molto più di mille prediche paternalistiche. Contano molto più le loro testimonianze che le chiacchiere del ministro Meloni. Io credo molto negli esempi. Credo nei ribelli».
Detto da un ministro...
«Certo. Per me, oggi, chi non si droga è il vero anticonformista. È il vero ribelle alla melassa del "caliamoci" e via. E questi sono la maggioranza di una generazione».
E i nuovi tossicodipendenti chi sono?
«Non sono dei nemici della società. E nemmeno sono un danno da ridurre: l’idea della "riduzione del danno" fa comodo alla società che non vede l’ora di togliersi un problema fastidioso da sotto gli occhi».
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