Meno soldati in Kosovo per rafforzare Kabul

Meno soldati nei Balcani, più soldati in Afghanistan. Questo è il nuovo corso delle operazioni militari italiane. Il nostro Paese infatti mantiene un forte impegno nelle missioni militari internazionali, con oltre 8.300 uomini e donne all'estero alla fine del 2009, ma, finalmente, cerca di razionalizzare lo sforzo, concentrando uomini, mezzi e soldi là dove è più importante per gli interessi nazionali.
E mentre si avvia un potenziamento del contingente in Afghanistan, che arriverà nel corso dell'anno a sfiorare i 4.000 uomini, si comincia a ridurre la presenza in altri teatri. Il ministro della Difesa Ignazio la Russa, insieme al ministro degli Esteri Franco Frattini, ha confermato al parlamento il piano di ridimensionamento del contingente presente in Kosovo, nel quadro della missione a guida Nato Kfor. Attualmente sono poco meno di 1.900 i militari italiani impegnati per questa missione. Ma dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo e con il processo di avvicinamento della Serbia alla Unione Europea in pieno svolgimento, finalmente è giunto il momento di ridurre la tutela militare alleata. La Nato ha deciso di tagliare di un terzo la consistenza della Kfor, da 15mila a 10mila militari e parallelamente l'Italia rimpatrierà 500 soldati, pur mantenendo il comando della regione occidentale, che scenderà dal livello di brigata a quello di reggimento. Se la situazione sul terreno lo consentirà, altre consistenti riduzioni saranno effettuate nel corso dell'anno. In teoria la Nato vuole arrivare a 5.000 uomini entro fine anno e poi magari passare la mano alla Unione Europea. E l'Italia potrebbe ritirare almeno altri 500 soldati, forse di più.
Parallelamente si cercherà, finalmente, di chiudere anche la missione in Bosnia, in corso dal 1995, dove tuttora l'Italia mantiene poco meno di 300 militari, inquadrati nella operazione Altea, a guida Ue.
Probabile anche un ridimensionamento della nostra presenza in Libano, con la missione Unifil a guida Onu. Al momento abbiamo quasi 2.100 militari, ma si spera di poterne richiamare circa 300. Non molti di più, sia per le pressioni internazionali, sia perché la situazione è solo apparentemente tranquilla e nessuno vuole un nuovo scontro tra Hezbollah e Israele.
Inoltre la Difesa, di conserva con gli Esteri, sta rivedendo il complesso delle missioni in corso, che vedono i nostri soldati impegnati in 27 missioni in 20 Paesi. Davvero troppo. Alcune presenze sono simboliche, come quella di 3 uomini in Sudan, di 7 in Pakistan, 5 in Congo, 4 a Cipro e 4 in Marocco. Altre sono più sostanziose. Dalle acque della Somalia al Medio Oriente, i nostri militari sono un po' ovunque. La razionalizzazione consentirà di sfoltire gli impegni, per realizzare una «massa critica» in pochi teatri principali, con lo scopo di conseguire il massimo ritorno politico e strategico. Solo così si giustifica una spesa che nel 2010 raggiungerà 1,5 miliardi di euro (750 milioni a semestre) per il versante Difesa, ai quali si spera si aggiungano almeno 200 milioni di euro per le indispensabili attività di cooperazione degli Esteri.
È ben chiaro che mandare e sostenere mille uomini in più in Afghanistan, dove tra l'altro i battle groups, le formazioni di manovra, schierate nella regione Ovest, diventeranno quattro ed il comando italiano salirà al livello Divisione, è ben più costoso rispetto ad un impegno numerico identico nei Balcani o anche in Libano, fosse solo per ragioni logistiche. Però un ridimensionamento degli impegni non essenziali consentirà di risparmiare soldi e soldati, che saranno poi impiegati al meglio.

Questa è una novità assoluta nella stagione delle missioni militari italiane che spesso hanno visto una dispersione su troppi fronti, senza raccogliere dividendi politici, strategici ed economici adeguati. Ora si vuole cambiare e le prime decisioni vanno nella giusta direzione.

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