Milano - Sangue non se ne è visto. Dettagli macabri neppure. La scena dell’orrore, quella dello sgozzamento, è stata fatta scivolare dopo le undici. Particolari fantasiosi non sono stati aggiunti. Dunque, come c’era da aspettarsi, l’esperimento di Enrico Mentana, la docu-fiction sulla strage di Erba, non è stato raccapricciante. Non di meno, è tornata su un argomento che va dritto dritto a solleticare le passioni più voyeuristiche delle persone, a prendere il pubblico per lo stomaco. Un’accusa che è piovuta immediatamente addosso al giornalista di Canale 5 appena annunciata la decisione di mandare in onda, lunedì sera, l’instant movie. E che, dopo averlo visto, è stata rinforzata dato che il documentario ricostruisce fedelmente tutta la vicenda, mostra nei minimi dettagli il massacro che ha portato alla morte di tre donne e un bambino, ma non aggiunge nulla rispetto a quello che già si era visto in televisione e letto sui giornali. Il pubblico non è accorso in massa a vederlo, ma non è rimasto neppure indifferente: 3 milioni 448mila spettatori con il 16,26 per cento di share. Il dibattito a seguire, con in studio i protagonisti della vicenda, ha fatto alzare gli ascolti: 27,4 per cento di share con 2 milioni 496mila spettatori.
Mentana è tranquillo. Aveva messo più che in conto le polemiche. «Noi non abbiamo mai detto di voler rivelare chissà quali verità in più - dice -. Volevamo semplicemente raccontare una vicenda di cronaca in un modo diverso, usando lo strumento della docu-fiction. Non abbiamo inventato nulla, solo realizzato, a basso costo, un documentario in tempi brevissimi e a ridosso di una tragedia appena avvenuta, senza spettacolarizzare l’orrore». Gli avvocati dei due coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano che hanno confessato il pluriomicidio, hanno cercato di fermare la messa in onda del filmato. Il sindaco di Erba si è detto molto infastidito, come molti abitanti della cittadina del Comasco dove è avvenuta la strage. «Posizioni ovvie per i difensori e per tutti gli abitanti di un luogo dove accadono queste disgrazie. Mi dispiacciono, invece, le prese di posizione prima di aver visto il filmato. E poi, chi si prende il compito di fissare fino a dove arriva il diritto di cronaca?». Ma alla luce anche di quanto ha registrato come ascolti, è contento dell’operazione? «Essendo un esperimento, certamente sì. Era un prodotto studiato per Matrix, e quindi da mandare in onda in seconda serata, ma l’azienda ha provato a trasmetterlo in prima. Sapevamo che non sarebbe stato un record di audience, ma nessuna ce l’aveva chiesto. Ne siamo così soddisfatti che li riproporremo in autunno».
Qualche dubbio in più lo manifesta il criminologo Francesco Bruno, che abbiamo visto tante volte seduto nel salotto di Vespa a discutere del caso Cogne. Il suo è quasi un «mea culpa». «Ormai la discussione mediatica sui fatti di cronaca ha completamente stravolto la realtà - dice -. Non dico semplicemente che tv e giornali si sono sostituiti alle aule dei tribunali, ma che la percezione emozionale che arriva alla gente è completamente distorta». Comunque, la docu-fiction non preoccupa il criminologo. «Dieci fiction non fanno una realtà. Più danno si fa con i plastici che ricostruiscono le dinamiche, indugiando sulle foto, mostrando le armi del delitto». Be’ è quello che lei ha fatto o commentato più di una volta. «Infatti io sono critico verso alcune mie esperienze.
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