Le meraviglie del cinema in costume Ecco l’officina del «Gladiatore»

Nel magazzino dove De Niro ha trovato le valigie di «C’era una volta in America» e Russell Crowe la sua corazza

da Roma

Portateci un bambino, o anche un adulto filmofago, e sarà come frullarlo nella macchina del tempo. A venti chilometri da Roma, sulla Tiburtina, c'è un capannone di 2000 mq che custodisce la memoria vivente del cinema in costume. La premiata ditta si chiama Rancati, viene da lontano, se è vero che già nel 1864 la Scala si riforniva dal fondatore Edoardo Rancati, maestro attrezzista con succursali a Roma e Torino. Il sottoscritto v'è arrivato per caso, cercando un cinturone western da regalare al nipote adolescente, mesmerizzato da Terra di confine di Kevin Costner.
Intendiamoci, mica è un negozio, che vai lì, vedi e compri. Anzi il giovane manager (e figlio d'arte) Massimiliano Papa sulle prime è scoraggiante, teme che si sparga la voce. Perché il patrimonio di oggetti, ordinato per epoche, temi e comparti, è difficilmente rinnovabile: gli stampi delle corazze romane, ad esempio, non esistono più o costa troppo rimetterci mano, sicché si rischia di perdere una commessa se non sei subito in grado di garantire varietà e quantità, ovvero dai cento ai trecento pezzi. Qualche giorno fa, ad esempio, un tir carico di elmi piumati, lance, corazze, lumi, letti e triclini è partito per la Francia, dove stanno girando il terzo Asterix.
A curiosare per i corridoi del capannone c'è da divertirsi. Ci sono cassapanche, leggii, scrittoi, lampade, corone, giberne, bisacce, elmetti, fondine, gladi e daghe, corone reali di ogni tipo, liuti e violini (finti), fucili (finti), sciabole, picche e alabarde (vere); e ancora: gioielli, ombrellini, manifesti d'epoca rifatti, vasellame, putti e angeli. Ecco un ritratto gigante del Duce, dipinto sulle fattezze di Rod Steiger e usato per Mussolini ultimo atto. Ecco le valigie di De Niro per C'era una volta in America; ecco, spogliata dei fregi, la corazza di cuoio di Russell Crowe nel Gladiatore; ecco uno degli spadoni branditi da Mel Gibson in Braveheart; ecco gli arredi della «casa dell'oppio» costruita a Cinecittà per Gangs of New York; ecco i libroni rilegati in pelle invecchiata che componevano la biblioteca, poi bruciata, del Nome della Rosa.
Dicono che non si faccia più cinema in costume, e in parte è vero. Ma, pur con alti e bassi della congiuntura, la ditta Rancati continua a lavorare, specie con le produzioni straniere, registrando un fatturato da un milione di euro all'anno. Legno, gesso, ferro, cuoio: i materiali sono questi. «Gli inglesi sono forti sul reparto costumi, ma scarsi sulla buffetteria e l'attrezzistica. Fanno tutto di plastica, perché è più leggera e si butta via a fine riprese. Però poi si vede», spiega Papa, che mi fa da Virgilio nel reparto cinturoni. Pochi quelli da pistolero, perché il genere è tramontato (e quando Veronesi girò Il mio West molti non sono ritornati); imponente, invece, il materiale riferibile alle due Guerre mondiali: giberne, cartucciere, fondine, cappelli, elmetti. Sul fronte 1940-45, sono appena tornati i moschetti '91 utilizzati per Le rose del deserto di Monicelli. «Molti dei lettini da campo, dati per arredare l'ospedale da campo, purtroppo se li sono rubati i tunisini sul set», rivela Papa, lamentando una pratica piuttosto diffusa, specie quando si va all'estero.
Nel piccolo ufficio della contabilità, sopra l'armadietto dove sono allineati libri di storia, fa bella vista di sé la foto di Benigni scattata il giorno in cui venne a provare la corazza da centurione costruita su misura per Asterix. Tradizione artigianale e approccio industriale si mischiano, con qualche approssimazione storica, dentro questi locali ricolmi di oggetti.

Non la chiameremo «fabbrica di sogni», come farebbe Veltroni, però quando esco col mio cinturone vintage, completo di pallottole fasulle, non posso fare a meno di scimmiottare Clint Eastwood in Per un pugno di dollari. «Ti ricordi Ramon? Quando un uomo con la pistola...».

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