Mercati azionari a rischio-Francia

I mercati finanziari continuano a vivere la fase positiva; sempre vicini ai massimi i titoli di Stato, in graduale e accelerato recupero gli azionari. Continua in sostanza la contraddizione tra i due comparti; la forza degli obbligazionari indica quasi un timore di recessione mentre la ripresa degli azionari accelera ogni volta che da Usa o petrolio emergono notizie positive. Sorprende soprattutto l’indisponenza verso i rischi alle porte: i referendum sulla Costituzione europea in Francia e in Olanda. Che l’Europa attraversi un ciclo economico difficile dal 2001, con la nascita dell’euro, è noto a tutti. Euro, riforme non fatte, contrasto tra le maggiori istituzioni: di chi è la colpa? Forse di tutti, ma sopra tutti colpa di una costruzione imposta dall’alto che, trovatasi in difficoltà ad adottare un’unica politica monetaria in presenza di politiche fiscali ed economiche diverse, non ha trovato di meglio che allargare da 15 a 25 il numero dei suoi membri sottolineando attraverso i suoi vertici tutti i futuri benefici dell'operazione e sottacendone i rischi. Questo secondo noi è il problema maggiore che un eventuale «no» francese, più che olandese, potrebbe far emergere fra pochi giorni. La scontentezza è manifesta a Ovest come a Est; sul piano politico l’Ue è quasi spaccata in due con l’Est, l’Italia, l’Inghilterra e gli scandinavi «pro Usa» e gli altri critici se non, come la Francia, ostili.
Per questo ci stupisce che i mercati azionari, specie europei, sembrino ignorare il rischio di un «no» francese. Innanzitutto il processo di allargamento, difficile ma con alcune modifiche alla lunga positivo, potrebbe subire una frenata; la convinzione, specie in Francia e in Germania, che l’Est con le sue aliquote fiscali molto basse e con salari al 40% o meno dell’Ovest sia una delle cause del declino sia della crescita che della forza lavoro è sempre più radicata; e non serve che i predicatori del contrario si affatichino a indicare, anche con dati e cifre reali, i vantaggi a lungo termine.
In più i sei «sì» già archiviati, tra cui quello di Italia e Spagna, sembrerebbero non contare nulla dimostrando quanto equilibrata e democratica sia questa Ue fabbricata a Maastricht. Una frenata sarebbe un grave danno perché le economie dell’Est stanno contribuendo fortemente alla pur modesta crescita generale e perché vorrebbe dire un «no» certo alla Turchia e probabilmente un ritardo per Romania, Bulgaria e Croazia.

Il mercato dei salari non potrebbe che reagire negativamente scombussolando l’andamento di molti settori; quelli valutari dell’Est potrebbero soffrire; dollaro e sterlina invece beneficiare; anche i tassi dentro e fuori dell’euro potrebbero riservare sorprese. Ben più gravi, tuttavia, le conseguenze economiche e socio-politiche di lungo termine qualora il «no» arrestasse l’intero processo creando delusioni a Ovest e frustrazioni a Est.

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