da Milano
I ripetuti interventi della Federal Reserve sotto forma di tagli ai tassi, di iniezioni di liquidità e di allargamento dei prestiti di emergenza anche alle banche daffari, non hanno ancora spazzato via i problemi. La cautela, dunque, è dobbligo, anche perché la situazione «è ancora lontana dalla normalità». Nel dibattito interminabile sullo stato della crisi Usa, Ben Bernanke assume posizioni più vicine al suo predecessore, Alan Greenspan, che non al segretario al Tesoro Usa, Henry Paulson, secondo il quale «il peggio è ormai alle spalle».
È un punto di vista ancora carico di incognite, quello espresso ieri dal presidente della Federal Reserve in una conferenza stampa organizzata dalla Fed di Atlanta. Bernanke approfitta delloccasione per rivendicare i miglioramenti ottenuti con «le nostre misure di liquidità».
Ma ciò ancora non basta. Alcuni indicatori come per esempio il Libor (il tasso che esprime il livello a cui le banche si prestano denaro) segnalano ancora tensioni sul lato del credito. «La forte partecipazione delle banche commerciali - ha dichiarato il numero uno della banca centrale Usa - al programma di aste di linee di credito lanciato dalla Fed indica come la richiesta di liquidità rimanga alta e che dunque le banche abbiano bisogno di ulteriori finanziamenti». Bernanke è tornato quindi a difendere il salvataggio di Bear Stearns, deciso per impedire «una crisi di liquidità ben più vasta», soffermandosi al tempo stesso sulla delicatezza del compito che la Fed deve svolgere. Mosse intempestive per quanto riguarda limmissione della liquidità rischiano infatti di innescare il cosiddetto moral hazard, ovvero quel fenomeno che porta banche e finanziarie ad assumersi forti rischi nella convinzione che la banca centrale aprirà, se necessario, un paracadute. A tal proposito, Bernanke ha di nuovo sollecitato gli istituti di credito a rafforzarsi patrimonialmente.
Nessun accenno invece alle prossime mosse di politica monetaria, un tema reso ancor più caldo dopo che alcuni analisti hanno decretato nei giorni scorsi la fine del periodo di riduzione del costo del denaro a causa delle spinte inflazionistiche provocate dai rincari del petrolio, giunto ieri a un soffio dai 127 dollari il barile (126,98 il picco di seduta).
Non buone inoltre le notizie giunte dal mercato immobiliare, dove i prezzi delle case sono scesi del 7,7% nel primo trimestre.
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