Due passi al mercato delle carni, fra via Lombroso e viale Molise, è a metà fra un viaggio nella desolazione e un viaggio nel tempo. Spazi immensi - si contano 235mila metri quadrati - abbandonati se non per seimila metri quadrati lasciati agli ultimi tre fornitori, i sopravvissuti. Un contorno di erbacce, capannoni giganteschi pericolanti: «Quando nevica dobbiamo spostare i camion perché le travi traballano e rischiano di caderci addosso» riferisce Giuseppe Bianchi, commerciante allingrosso. Costruito negli anni Venti, risistemato in qualche modo negli anni Ottanta, è un gigante inadatto al mestiere richiesto. Chi chiude, come il grossista andato in pensione lanno scorso, non riapre e le vacche non si macellano più. «Su questa struttura non si investe da tempo perché non ha più senso un mercato così in città. Se dipendesse da me lo realizzerei fuori» ha ammesso Bianchi. E così succederà. Chissà quando, però. Nel frattempo i fornitori restano senza servizi fondamentali «non cè più la tripperia e ora dobbiamo spendere soldi per smaltire trippa, ossa e grasso». E da un frigorifero allaltro, «quando spostiamo la carne interrompiamo la catena del freddo».
Il macello che funziona, tranne che per gli ovini, è quello lasciato in uso ad arabi ed ebrei che uccidono gli animali seguendo i loro rituali religiosi.Di notte i 235mila metri quadrati sono sorvegliati da guardie giurate ed è un po come se uno squadrone fosse messo a controllare un deserto.
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