Il mercato delle poltrone scatena il fuoco amico

Felice Manti

da Milano

Il pasticcio delle poltrone, culminato con il passo indietro di Massimo D’Alema, è stata la goccia finale. E ieri la stampa di sinistra si è scatenata, dando voce al crescente malcontento dell’elettorato di sinistra. Le prime pallottole di carta contro i vertici dell’Unione sono state «sparate» da Unità e Manifesto: cari leader, così non va. A finire nel mirino dei tre principali giornali «politici» è il metodo utilizzato dal centrosinistra nella gestione del risiko istituzionale, che ha fatto storcere il naso al già incerto elettorato di sinistra.
«Cominciamo male», ha scritto il direttore dell’Unità, Antonio Padellaro, «citando» i «numerosi lettori (ed elettori) che si rivolgono al mio giornale». L’aut aut di Bertinotti («Camera o appoggio esterno») assomiglia alla linea del «fatti più in là perché ci sono io», dice Padellaro, che poi affonda la penna nella ferita aperta: «Si può affrontare la navigazione che attende Prodi tirando di qua e di là rischiando di strappare tutto?». No, serve «una maggioranza dove ciascuno sia capace di rinunciare a qualcosa per il bene di tutti».
Affermazioni già smentite dalle prime uscite del presidente della Camera in pectore di ieri. Che non a caso era finito nel mirino di Staino, il vignettista del quotidiano di Via Benaglia, che ha dipinto un Romano Prodi disperato al telefono con il leader di Rifondazione che baratta la Camera con le 35 ore di lavoro settimanali, storica battaglia che fu all’origine dello strappo tra i due nel 1998. La risposta del leader di Rifondazione, «Le 35 ore? E cosa sono?», è rivelatrice.
Il manifesto non fa nomi e se la prende con tutto lo Stato maggiore dell’Unione. «Verrebbe da dire “adesso basta, vi diamo cinque minuti per sciogliere l’assembramento”», scrive Gabriele Polo, direttore del quotidiano comunista. «Serve una proposta, se c’è, altrimenti non resta che affidarsi all’umore di Pallaro (senatore eletto all’Estero, ndr). E buonanotte».
Solo il direttore di Liberazione, organo ufficiale di Rifondazione comunista, ha cercato di imbastire una debole difesa d’ufficio, denunciando però il timore che l’elettorato non riesca a comprendere fino in fondo.

«Così si dà l’impressione che la sinistra si divida pochi giorni dopo il voto per motivi di potere, di poltrone», abbozza il direttore Piero Sansonetti, che poi abbassa la mira: «La disputa sulla presidenza della Camera non è stata una battaglia di potere o personalistica», ma «la scelta di una coalizione plurale». Più che plurale, verrebbe da dire singolare.
felice.manti@ilgiornale.it

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