Persino le tracce del Dna degli imputati si mischiano in questo processo dove bugie, omissioni e reciproche accuse ogni giorno rimescolano le carte di un delitto. Tutti contro tutti, ecco il gioco delle parti di fronte alla resa finale: Rudy, il più solo, che si scaglia contro Raffaele e Amanda; gli avvocati del neo ingegnere di Giovinazzo che accusano la candida americanina; lei che rimpalla verso l’ivoriano ormai «bruciato». Il teorema dell’accusa ha frantumato i segmenti del triangolo. Dopo le reciproche protezioni, ciascuno per sé e speriamo «che io me la cavo».
Meredith, sgozzata a ventidue anni, vittima innocente di una serata alcolica e drogata, un anno dopo, aspetta giustizia. L’aspettano i suoi genitori inglesi (hanno chiesto 25 milioni di risarcimento) che oggi siederanno nell’aula sotto l’acropoli perugina, per ascoltare il verdetto del gup Paolo Micheli. Sarà una decisione doppia la sua: deve emettere una sentenza, come prevede il rito abbreviato, per Rudy Guede; deve decidere se rinviare a giudizio, per omicidio e violenza sessuale, Raffaele Sollecito e la sua più o meno ex Amanda Knox.
Accuse e difese si sono scontrate in una settimana dove il colpo di scena, sperato e invocato, non c’è stato. Gli elementi restano quelli della «prima ora». Una montagna di indizi a carico dei tre ragazzi ma nessuna certezza su chi abbia materialmente ucciso Mez quella notte dopo Halloween.
Il primo squarcio di una verità costellata da troppe menzogne e omissioni, lo aprì Amanda la sera del 6 novembre quando, interrogata dalla polizia, ammise che sì, lei c’era in quella casa, ma si trovava in cucina. Accusando poi un innocente, Patrick Lumumba, il proprietario del pub dove lei lavorava part-time. Con lei finì in manette anche Raffaele, Rudy, che nel frattempo era fuggito in Germania e sarebbe stato catturato qualche giorno più tardi.
Da quel momento in poi, l’indagine, è finita nei laboratori della polizia. Contro Rudy, l’ivoriano senza famiglia, lo sbandatello del gruppo, gli esperti della Scientifica hanno raccolto quanto basta per far chiedere ai pm dell’accusa l’ergastolo. Lui stesso ammise di essere stato nell’abitazione della studentessa inglese la sera dell’omicidio, sostenendo però di essersi trovato in bagno al momento del delitto. E soprattutto di aver visto fuggire il presunto assassino, «uno sconosciuto che correva dalle scale». Peccato che gli investigatori abbiano trovato il suo cromosoma Y sia sul tampone vaginale effettuato sul cadavere di Mez sia su un frammento di carta igienica nel water dell’abitazione, sia sul polsino insanguinato della tuta della vittima. In più anche l’impronta insanguinata della sua mano sul cuscino che era sotto il cadavere e il Dna sul reggiseno.
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