Antonio Lodetti
da Milano
Nel 1997 era in ospedale ridotto piuttosto maluccio; un blocco renale complicò ulteriormente la situazione e gli fu somministrata lestrema unzione. Tutta Napoli si strinse attorno a Mario Merola, luomo di ferro che, cresciuto a «lacreme napulitane», quella volta ha sconfitto anche la morte. Poi, da buon guappo, ne ha fatte ancora di tutti i colori. Due anni fa ha festeggiato i 70 anni con un party scoppiettante dove per loccasione Gigi DAlessio ha fatto il pasticcere, lanno scorso a marzo è ripartito in tournée con lo spettacolo Il lungo viaggio continua, carrellata a tinte forti dei suoi classici - da Busciarda a Carcerato per chiudere con Tu ca nun chiagne - incoronando suo erede naturale il figlio Francesco, che ha duettato con papà proponendo alcune sue composizioni. Ma chi glielo fa fare di calcare ancora le scene?, gli abbiamo chiesto in quelloccasione, quando cantò e recitò al teatro Diners della Luna di Milano. «La passione per il canto e laffetto del pubblico - ha risposto con voce roca e un po affannata -; ho un dovere morale verso i miei fan, non posso deluderli e starò sul palco fino allultimo respiro». E ha mantenuto la parola, perché lui amava il suo pubblico almeno quanto il suo pubblico amava lui. «Meriterei un premio per tutto il bene e il calore che ho dato agli italiani nel mondo, e allo stesso tempo dovrei premiare loro per laffetto che mi danno», amava dire. Merola ne aveva per tutti e, quando non riusciva a convincere la critica con le sue suppliche canore, lo faceva con la sua dialettica ruspante. «Mi criticano? Eppure io rappresento la canzone napoletana che è cultura ed è famosa in tutto il mondo, non si può dire altrettanto della nostra musica leggera. Bisogna riportare in auge la vera melodia e grandi autori come Libero Bovio, quello de La guapparia. Dovreste vedere cosa succede quando canto per i nostri connazionali in America. Il finimondo. A New York in molti ristoranti di Little Italy il piatto forte sono gli spaghetti alla Mario Merola», diceva con orgoglio.
Lui ha sempre preso le difese della sua Napoli povera, popolare, generosa e specialista nellarte di arrangiarsi. Una Napoli «a metà tra quella di Eduardo e quella di Peppino De Filippo», diceva. Quella di oggi era un po troppo lontana dalle sue radici. «Ma per salvare questa città dalla violenza e dal degrado bisogna diffondere la tradizione e la vera sceneggiata. Altro che Sanremo. Ci sono stato nell82 e nell83 ma a me interessa cantare in dialetto e lì lo snobbano. Piuttosto bisogna rifare il festival della canzone napoletana. Il problema del mondo musicale è che non ci sono più autori e mancano le belle melodie». Labbiamo provocato dicendogli che è un uomo fuori del tempo e lui ha replicato.
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