È una minoranza piccola, ma sempre più attiva. E, soprattutto, inspiegabilmente ricca. I soldi non sono mai un problema se si tratta di diffondere l’Islam fondamentalista. Le sconvolgenti immagini filmate clandestinamente qualche giorno fa non costituiscono una peculiarità di Torino. Ogni venerdì prediche di analoga violenza verbale vengono pronunciate in ogni regione.
Circa metà delle moschee nel nostro Paese sono controllate da imam oltranzisti: per l’esattezza 285 su un totale di 612. Lo rivela al Giornale il professor Habib Sghaier, un demografo di origine tunisina, presidente dell’Associazione comunità stranieri in Italia (Acsi) e membro della Consulta nazionale dell’immigrazione. Ne trovi a Milano, Lodi, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, in Veneto e, soprattutto, in Puglia. «È questa la regione dove è reclutato il maggior numero di adepti», spiega.
Molti di loro vengono spediti a combattere la Guerra Santa in Kosovo, in Cecenia, in Afghanistan; altri restano da noi a propagare un Verbo delirante, secondo cui «la democrazia è fonte di tutti i mali e di tutti i vizi», gli occidentali sono «popoli corrotti che diffondono la sodomia, i matrimoni tra gay e lesbiche», Israele «una realtà criminale, la nazione di porci e scimmie». Secondo questi predicatori - per lo più salafiti, che predicano il ritorno all’Islam delle origini - le ragazze senza velo «finiranno all’inferno» e guai a partecipare al rito di San Valentino, perché «non è la festa degli innamorati, ma il giorno dell’immoralità e della prostituzione».
Nel Corano non c’è una riga di queste nefandezze e nemmeno nei testi dell’Islam sunnita autorevole, come quello dell’Università Al Azhar del Cairo, ma gli estremisti non se ne curano. D’altronde qualcuno li ispira e li finanzia. Quando chiedi agli imam come possano acquistare o affittare garage che poi vengono trasformati in moschee e quale sia la loro fonte di sostentamento, rispondono: con le offerte dei fedeli. «Ma questa versione non regge - osserva Sghiaer -. Solo una minoranza degli immigrati musulmani frequenta le moschee e in ogni caso guadagnano poco, meno di mille euro al mese. È inverosimile che i loro oboli siano sufficienti a finanziare gli imam».
Provvede qualcun altro, dall’estero: Arabia Saudita, Pakistan, Emirati del Golfo, Iran. Un flusso costante. E con i soldi arrivano mullah, mujaheddin, propagandisti. Stanno nel nostro Paese poche settimane, passando da una moschea all’altra. Puntate rapide e intense. Lasciano l’Italia prima che la polizia si accorga di loro e non tornano più. Sono i giramondo dell’odio.
Il loro obiettivo è di circuire il maggior numero di persone. Tra i giovanissimi hanno pochissima presa: la seconda generazione tende a integrarsi e ad adottare i costumi occidentali. Chi ha più di 40 anni teme di perdere quel minimo di benessere ottenuto al prezzo di grandi sacrifici.
Gli integralisti, pertanto, puntano i maschi tra i 24 e i 35 anni, senza un lavoro fisso e con problemi di alloggio, che più facilmente si sentono esclusi; poveri e sfruttati in un’Italia rutilante e consumista. In Puglia sono tanti gli immigrati in queste condizioni; gente che lavora per pochi mesi, durante la stagione del raccolto, e riceve paghe miserevoli. Facile avvicinarli e convincerli a cercare il riscatto nell’Islam fondamentalista.
E quando l’ideologia non basta si ricorre all’inganno. A molti di loro gli imam fanno credere che le autorità dei propri Paesi d’origine li stanno ricercando per attività estremiste o addirittura per terrorismo.
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