In fondo gli sta bene. Lo diciamo, sia chiaro, con simpatia: perché, adesso che è saltato dall'altra parte della contestazione, bersaglio prediletto di quella piazza che una volta sobillava con piacere, Cofferati ci fa persino un po' di tenerezza. Se non altro per il modo con cui i suoi ex compagni di barricata si sono affrettati a liquidarlo come aguzzino. Lo chiamano «sceriffo», uomo duro, guerriero padano, sui siti no global lo descrivono come fascista in orbace. Proprio così: Bologna alalà, un saluto al duce Sergio. E tutto questo solo perché ha osato dire che se ci sono delle regole, beh forse è il caso ogni tanto di rispettarle. Offesa grave, per certa gente. E sarebbe nulla, se non fosse che certa gente, in realtà, è la sua gente. Cioè quella che lui ha sempre cavalcato.
Ma sì, dai: se l'è meritata. Perché quelli che adesso lo contestano quando tenta di mettere un po' d'ordine, sono gli stessi che lo esaltavano come principe del disordine. Sono i suoi amici, i suoi compagni d'avventura, quelli che lo hanno portato in alto, osannato, quelli che ne hanno fatto un eroe dell'antagonismo, un paladino della ribellione. Ricordate? Quando governava le piazze d'Italia gli urlavano: «Sei l'anti-Berlusconi». Ora che governa la piazza di Bologna, gli urlano: «Sei come Berlusconi». Metamorfosi completa, si capisce: pensate che ora pretenderebbe persino che i suoi amici rispettassero le leggi. Che ne so? Se c'è una casa, non occuparla abusivamente. Se c'è un divieto, non calpestarlo pubblicamente. A voi sembra normale? A loro, invece, pare una follia.
Per questo lo attaccano. E per questo riescono persino a farcelo diventare simpatico (chi l'avrebbe detto mai?). Ma sì, confessiamo la verità, il Cofferati con il codice in mano ci piace. Il Cofferati che dice «la povertà non giustifica l'illegalità», quello che ordina la linea dura contro i lavavetri che aggrediscono gli automobilisti, quello che fa sgomberare le fabbriche dove bivaccano stranieri irregolari, quello che stabilisce un freno alle sbornie notturne vietando di vendere alcolici dopo le 21. Quello che dice che non può esistere accoglienza senza regole, che bisogna essere buoni ma non buonisti, che aiutare i deboli non significa lasciare via libera ai violenti. Ci piace questo Cofferati. Però ci viene un dubbio: dov'è stato finora? Non era forse alla testa di tutti quelli che ora, di testa, vorrebbero soprattutto la sua?
Da re dei contestatori a vittima delle contestazioni, da incendiario delle piazze a ragionevole pompiere, da agitatore delle masse a ordinato burocrate della realtà: la lunga marcia dell'ex Cinese diventato bolognese, passando dalla protesta estrema al buon senso tortellino, ci insegna almeno due cose. La prima è che a dire no sono capaci tutti. A dire che così non va, tutto sbagliato, tutto da rifare. A riempire i cortei sull'onda della protesta, insomma. Non ci vuole nulla. Ma appena si passa dal dire al fare, dal contestare al risolvere, dal distruggere al proporre, beh, le cose cambiano. Perché un conto sono i proclami dal palco, la demagogia da comizio, le roboanti frasi che scatenano gli applausi. E un conto sono i problemi concreti, che chiedono di essere affrontati con pazienza, umiltà, magari qualche compromesso, insieme a tanto rigore. Tutte cose che non piacciono alla piazza: vero Cofferati?
Poi c'è un'altra cosa che c'insegna la clamorosa metamorfosi del sindacalista rosso diventato sindaco alla mortadella. Ed è questa: mai fidarsi di certi compagni. Anzi, mai fidarsi dei compagni. Avanti popolo alla riscossa, rifondaroli, no gobal, bandiera rossa e finto-buonista la trionferà. Perché con il massimalismo dei principi, i sogni nel cassetto, i proclami rivestiti di nobili sentimenti, un altro mondo è possibile (e intanto tutto è lecito), i girotondi attorno all'immigrato, l'accoglienza senza regole, le porte aperte senza controlli, le vetrine sfasciate, le marce arcobaleno, le offese ai poliziotti e il disprezzo della legalità, non si riesce ad amministrare nemmeno un paesino di provincia. Figurarsi una città. Figurarsi Bologna.
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