Metro, a sei mesi dalla tragedia ancora nulla di certo sulle cause

Il tamponamento alla stazione di piazza Vittorio: centinaia i feriti, una donna uccisa

Un indagato e una perizia che tarda ad arrivare. A distanza di sei mesi ancora non si sa nulla di certo sulle cause dell’incidente avvenuto sulla linea A della metropolitana la mattina del 17 ottobre 2006. Una tragedia che costò la vita ad una ragazza di 30 anni, Alessandra Lisi, di Pontecorvo.
L’inchiesta è ancora in corso, i periti incaricati di individuare le cause del disastro hanno recentemente chiesto ed ottenuto una proroga. Quello del macchinista è per ora l’unico nome iscritto nel registro degli indagati. C’era lui alla guida del convoglio che nella stazione di piazza Vittorio ha tamponato quello che lo precedeva. Erano da poco passate le 9,30, centinaia di persone viaggiavano a bordo dei due treni in direzione Termini. All’improvviso lo scontro. E la routine di tanti pendolari si trasforma in tragedia: lamiere accartocciate, vetri rotti, urla di disperazione, paura negli occhi della gente che non capiva cosa fosse accaduto, sangue ovunque, borse, valigie, libri e scarpe sparse ovunque. Centinaia i feriti, una sola vittima. Fino a qualche giorno fa sulla banchina dove si scontrarono i due treni c’era ancora una sua foto, accanto due mazzi di fiori. Una giornata rimasta bene impressa nella memoria dei romani, che ricordano perfettamente dove erano e cosa stavano facendo quella mattina. Il sindaco Walter Veltroni ha definito quel giorno come «uno dei più tristi di Roma con la tragedia di via Ventotene».
«Solo per caso non mi sono trovata su quel treno - ricorda Chiara, 23 anni, studentessa di Crotone -. Abito a San Giovanni e avevo appuntamento alle 10 con una mia amica a piazza del Popolo. Ho fatto tardi perché non trovavo le chiavi di casa». Giovanni, pensionato di 62 anni e la moglie Anna erano a casa. «Avevamo la televisione accesa quando ho sentito la sigla dell’edizione straordinaria del tg - ricordano -. Dall’11 settembre ogni edizione straordinaria ci fa sobbalzare. Quando abbiamo visto quelle immagini, la gente che correva, ci si è raggelato il sangue». Sonia, 26enne romana, lavora in un negozio di piazza Barberini. «Quella mattina ero di riposo, iniziavo il mio turno alle 14. Stavo ancora dormendo quando mi ha chiamata mia madre sul telefonino e piangeva. Non sapeva che non lavoravo e quando ha appreso della notizia si è spaventata tanto». A sei mesi di distanza dalla tragedia tutti concordano sul fatto che cose del genere possono accadere. E se Chiara non nasconde che «da quella mattina c’è un po’ di timore», la sua amica Federica, anche lei 23enne di Cagliari, la interrompe bruscamente: «Lo so che se puoi eviti volentieri la metropolitana, ma non si può vivere con la paura. Può accadere. Allora non dovremmo più usare neanche le macchine».

Dello stesso parere i coniugi Anna e Giovanni: «Se ci dovessimo fermare e ragionare sui rischi che si corrono non vivremmo più. In aereo c’è rischio attentato, in metro di incidenti e poi basta leggere i giornali e guardare la televisione: quanti ragazzi muoiono ogni giorno in incidenti stradali? Non ci si può certo chiudere in casa».

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