Personaggi

"Mi metto a nudo sul palco fra desiderio e violenza"

L'attore, interprete per eccellenza di Testori, è in scena al Piccolo di Milano con "Prima" di Pascal Rambert

È attore per il teatro, per il cinema. È scrittore suoi Gli anni felici (tra poco in riedizione per Lindau) e Le mani sull'amore (Feltrinelli). È fondatore negli anni '70, insieme a Federico Tiezzi, dei Magazzini, oggi Compagnia Lombardi-Tiezzi. È quattro volte, tra il 1988 e il 2002, Premio Ubu per la migliore interpretazione maschile ed è considerato l'interprete per eccellenza dei testi di Giovanni Testori. Ha lavorato con Bertolucci, Fassbinder, Riccardo Muti, Robert Wilson, Martone, Giulia Lazzarini, Mariangela Melato. Ma nell'attesissimo spettacolo di Pascal Rambert Prima, in scena al Piccolo Teatro Grassi di Milano fino al 28 maggio - che apre un trittico composto per il teatro milanese, che lo produce e di cui Rambert è artista associato - Sandro Lombardi, aretino del 1951, è solo «Sandro».

«Quando scrivo è per loro», ha scritto il regista e autore del testo Rambert nelle note riferendosi ad Anna Bonaiuto, Anna Della Rosa, Leda Kreider e Marco Foschi, gli altri quattro interpreti oltre a Lombardi, «e il carattere della pièce diventa anche la loro identità, una traccia di loro, di un'altra esistenza, di un altro loro stessi». In scena, un costante conflitto tra desiderio fisico e realtà dei corpi e delle relazioni, in due ore di energie che si scontrano ai limiti dell'autofiction, inquadrate, è il caso di dirlo, dalla preparazione della «prima» di uno spettacolo ispirato alla Battaglia di San Romano di Paolo Uccello.

Che cosa c'è di biografico in questo personaggio?

«Ho incontrato Pascal sei o sette mesi fa e non ho parlato di me, se non di me come attore. Poi, quando mi è arrivato il testo, ho trovato che dentro il mio personaggio, che si chiama come tutti gli altri con il proprio nome reale, ci sono cose di me che non ho mai detto a nessuno se non a me stesso».

Un tassello di autofiction: nudità della vita reale messa in scena.

«È una novità interessante soprattutto per la sua radicalità. Non è la prima volta che interpreto un personaggio che si chiama Sandro: accadde nel 1985 con il testo di Federico Tiezzi Ritratto dell'attore da giovane. Anche Pirandello lo faceva: il famoso suggeritore Battaglia, che finisce nei Giganti della montagna, il Testori degli Scarozzanti. Nel caso di Rambert però il pirandellismo è radicale: il conflitto, che è alla base di tutto il teatro occidentale fin da Eschilo, viene portato alle estreme conseguenze».

Senza pudore e senza maschere?

«Tra i due estremi, il pudore e l'esibizione, ci sono gradazioni intermedie in cui gli attori possono più o meno mascherare l'intimità di certe affermazioni».

Il tempo zero tra evento reale e arrivo sulla pagina che conseguenze emotive ha?

«Altalenanti. Tra timore di essere troppo autobiografici e l'estrema eccitazione di trovarsi nudi. Mi era successo solo con i Tre lai di Testori».

Accanto al tema dell'età e del teatro nel teatro, c'è in Prima quello del desiderio erotico, carnale e amoroso.

«Che fa corto circuito con l'età. Abbiamo un lungo tempo con Anna Bonaiuto dove siamo io e lei da soli dietro quella porticina da cui gli attori di Prima entrano ed escono durante lo spettacolo: in quelle attese, in quelle sospensioni del tempo che sono uno degli aspetti meno conosciuti dal pubblico, in quella intimità e solidarietà che si è creata, la prima cosa che Anna mi disse fu: Ci aiuteremo, vero?. Ci siamo aiutati: il testo impone a lei e a me di dire cose tremende. Per una donna parlare delle proprie grinze sulle ginocchia e per un uomo delle sue mani invecchiate o di quel tempo in cui facevano l'amore. Che il dolore sia uccidere padre o madre o la consapevolezza che il proprio corpo si sfascia, si distrugge, che nelle mie mani vedo quelle di mio padre o le mani della morte, questo provoca una catarsi».

Verso la fine la tragedia collettiva arriva, però.

«Una scena sulla guerra. Non a caso nelle prove Pascal diceva: Facciamo la scena dell'Ucraina. Quella scena, tecnicamente la più difficile, per me crea meno problemi delle altre perché - ora dirò una cosa di cui è terribile prendere coscienza - per quanto sia drammatico il tema della guerra, l'invecchiamento, per un essere umano, è vicino. Ovvio che la nostra coscienza ci faccia sentire inaccettabile ogni forma di violenza, ma la peggiore è quella che il tempo opera sui nostri corpi: è drammaticamente così».

Cento anni dalla nascita di Testori.

«Ha segnato la mia vita di attore: un mese fa abbiamo festeggiato i cinquant'anni della nostra compagnia e oltre a Tiezzi - l'ho conosciuto a 14 anni e mi ha spinto in tutti i modi a fare teatro - Testori, che ho incontrato solo alcune volte, è diventato il mio autore di riferimento, fino all'identificazione».

Come accadde?

«Entrò in contatto con noi nel momento in cui i Magazzini criminali erano diventati l'uomo nero della scena teatrale italiana, i nostri spettacoli venivano stroncati indipendentemente dal loro valore».

Vi si voleva «cancellare», si direbbe oggi.

«In una sera che non dimenticherò mai, al Teatro dell'Elfo, De Capitani e Bruni ci vennero in soccorso e alla fine dello spettacolo Bonacina, direttore del Sabato, Testori e Emanuele Banterle ci vennero a conoscere. Testori credo fosse motivato dal fatto di veder qualcuno nelle condizioni che lui ben conosceva: condizioni di linciaggio. Testori propose a Tiezzi di fare la regia di Confiteor, Tiezzi a Testori di fare l'Arialda, ma i tempi divennero maturi solo dopo la morte di Testori. Il mio Edipus segnò una rinascita, fu il primo passo per farlo uscire dall'angolo ristretto in cui la cultura italiana aveva cercato di relegarlo: autore cattolico, penitenziale, grigio, punitivo e così via».

Invece?

«Invece la sua dimensione cromatica, violenta, erotica, pop era sotto gli occhi di tutti ma nessuno cercava di vederlo o poteva vederlo. So di aver fatto quello che Testori chiedeva agli attori con questa espressione cristiana: incarnare il verbo. Ci vollero sei mesi di studio per imparare la lingua: perché non è un dialetto quello di Edipus, ma un percorso, che comprende anche le visite al Sacro Monte di Varallo e la folgorazione di quelle figure, un universo non solo teatrale, ma umano, sociale, politico, religioso».

Ora su Testori passerà il testimone, simbolicamente.

«Quando Valter Malosti mi ha mandato il video di Cleopatras con Anna Della Rosa ho pensato alla staffetta con lei. Non una regia, ma un percorso laboratoriale il cui fulcro sarà questa consegna. Guiderò Anna a fare sua la mia interpretazione dei Tre lai e andremo in scena a Modena in novembre».

Nei suoi libri emerge con forza anche il ricordo di Pasolini.

«Uno dei pilastri della mia formazione. L'ho conosciuto presto per via del cinema, ero adolescente e non capii niente, però mi segnò. Non lo abbiamo portato in scena con la quantità e l'intensità di Testori, ma l'intento nel 1994, quando facemmo Porcile, era farne con Edipus uno spettacolo unico, incentrato sul rapporto padre-figlio».

Lo ha conosciuto?

«L'ho visto. Nel periodo in cui Davoli faceva il militare ad Arezzo, Pasolini lo veniva a visitare. Una mattina, lungo il corso principale della città, lo riconobbi in compagnia di un ragazzo in divisa e non ebbi il coraggio di presentarmi. Però li seguii. Entrarono in una gioielleria, li aspettai fuori: il ragazzo si rimirava contento un orologio al polso. Poi fino alla stazione. Vidi arrivare una folata di vento: scompigliò Pasolini ma i riccioli del ragazzo rimasero immobili, scolpiti da Michelangelo.

Li ho persi all'angolo dopo».

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