Mi vendi il campione del cuore? Allora devi restituirmi i soldi

Aveva comprato la maglia del suo idolo ma la squadra lo ha ceduto. Così un tifoso inglese ha denunciato la società. Ed è stato risarcito

Mi vendi il campione del cuore? 
Allora devi restituirmi i soldi

Sarà anche vero che non ci sono più le bandiere, così come le mezze stagioni, e che il mercato è aperto tutto l’anno. Sarà anche vero che «questi pensano solo ai soldi» e che «non c’è più rispetto per i tifosi». Ma c’è un limite a tutto. E il limite è un bambino di tredici anni, il giorno del suo compleanno e la maglietta del suo campione preferito che James McGhee, il papà, gli ha comprato qualche mese fa, come fosse la sacra Sindone se non di più. La maglia numero 25 di Gylfi Sigurdsson, lo spilungone islandese che a Reading, contea inglese del Berkshire, è una specie di genio della lampada che realizza i desideri, 42 partite, 18 reti, miglior giocatore del campionato, anche se bisogna accontentarsi perchè questa non è la Premier ma la Football League Championship, la serie B del campionato di Sua Maestà. Quarantadue sterline gli era costata lo scorso agosto la maglietta dei Royals, ed era andato sul sicuro perchè il ragazzo, Sigurdsson, aveva giurato fedeltà eterna alla squadra, sto bene qui, non mi interessano altre offerte, voglio conquistare qualcosa di importante con questi colori, diceva come dicono tutti, con il sorriso di Giuda, quando stanno per andare via. Ma si sa, non c’è niente di peggio nella vita che realizzare i propri sogni.

Una maglietta la puoi gettare a terra come Balotelli per dire a tutti che non vale niente o piantarla su una bandierina per sventolarla al cielo come fosse tutto, come fece Baggio. Ma per James, che è divorziato, ha un altro figlio e un sacco di problemi, quel regalo a strisce orizzontali bianche e blu per il suo Jon ha un’importanza che nessuno può capire, se non un altro papà che ha bisogno dell’amore dei suoi figli, specie quando il mondo dei grandi non conosce la pietà.
Ma si sa come vanno queste cose. Tempo un mese dalle promesse e lo spilungone che da solo porta in spalla il centrocampo l’ha voluto l’Hoffenheim, che è un paesino di appena tremila persone, otto volte meno di quante ne contiene lo stadio di Reading, il Madejski Stadium, ma che gioca in Bundesliga, la serie A tedesca, e ha come padrone Dietmar Hopp, magnate del software, uno degli uomini più ricchi del mondo. Offerta di oltre 6,5 milioni di sterline e affare fatto: ad agosto Sigurdsson gridava eterno amore al Reading, a settembre posava in sede con la maglia numero 11 stavolta dell’Hoffenheim, e senza bisogno di baciarla.

Così papà James la maglietta se l’è legata al dito e ha deciso di portare in tribunale la squadra. Avete preso in giro i tifosi, ma soprattutto tradito il mio bambino. E adesso mi ridate i soldi, della maglietta e dell’onore. Pensate l’avessero fatto i sampdoriani con le maglie di Cassano e Pazzini, per pagare il danno Garrone avrebbe dovuto vendere pure Palombo, Ziegler e tutta la panchina. E non è detto che con l’aria che tira dalla parti del presidente e l’attenzione alla palanca che c’è da quelle parti la cosa non si faccia.

Non c’è stato bisogno di una sentenza. Prima di arrivare in tribunale il risarcimento è stato deciso da un accordo tra le parti. A McGhee, che lavora come manager di un’acciaieria, il Reading ripagherà le 42 sterline spese per comprare la maglietta, più 30 per le spese legali, 72 sterline, 84 euro in tutto. Non è molto ma è abbastanza: «Ho vinto la battaglia morale - ha commentato papà al Daily Telegraph con una frase alla moda - Non era giusto che mio figlio indossasse la maglia di un calciatore appena ceduto, anche se era diventato il suo calciatore preferito: era così infelice per quell’addio».

Abbiamo scelto la strada della transazione, dicono in società, perchè le spese per il processo sarebbero state molto più care dell’accordo, altrimenti ci saremmo battuti per il rispetto di un principio. Mica per risparmiare. Per attaccamento alla maglia...

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