È la notte del 21 marzo 1956. Alle ore 5,30 il telefono di Anna Magnani squilla. "Lei ha vinto l'Oscar! le grida qualcuno, come rivelerà lei stessa il mattino dopo, al telegiornale -. Ma io ho risposto: lasciatemi dormire. A quest'ora gli scherzi non sono divertenti". Questa celebre scena (non era uno scherzo, evidentemente) non si vedrà in Anna. Il primo film dedicato alla più grande attrice italiana, che - presentato ieri alla Festa del Cinema di Roma; dal 6 novembre in sala - con tre anni di sfiancanti battaglie ed inesauribile dedizione, Monica Guerritore ha scritto, diretto e interpretato attorno al mito di Nannarella, non vuol essere un film esatto. Ma vero.
Signora Guerritore: Anna parte proprio da quella notte. Ma lei la racconta in un altro modo. Perché?
"Perché un conto è fare un film vero; un altro è farlo esatto. Il mio non è un bio-pic: non pretende di ricostruire la storia, ma la verità. Catturare l'essenza intima, al di là della nuda storia. E poi non ci credo, che quella notte la Magnani sia andata a letto piuttosto che aspettare notizie, attaccata al telefono! Io me la sono immaginata a vagabondare per la Roma notturna, a dar da mangiare ai gatti, come faceva quand'era nervosa. E poi festeggiare la vittoria con gli altri nottambuli: il garzone, la prostituta, la guardia notturna...".
Tre anni di lavoro, una fatica immensa per un progetto che nessuno voleva realizzare. Come mai?
"Mi sono trovata davanti muri di disinteresse, d'indifferenza. Quasi uno specchio dei rifiuti che la Magnani stessa patì; e proprio a partire dalla sua massima gloria. Perché è questo che racconto: fu proprio il trionfo agli Oscar, paradossalmente, a segnare l'inizio del suo declino. Il cinema dei fine anni '50 imponeva un'immagine femminile opposta alla sua, quella delle maggiorate. Per loro il talento era accessorio: serviva soprattutto l'aspetto. Il cinema è diventata una faccia, le faccio dire nel film".
E la faccia di Anna è la sua. Un bel coraggio, rendere omaggio alla più grande fra le nostre attrici.
"Ma Anna non è un omaggio. Io non imito Anna Magnani: io la interpreto. Così come s'interpreta un personaggio. Senza mani sui fianchi, senza sceneggiate popolane: non cerco di assomigliarle, ma di essere. Attraverso associazioni di sensibilità. Così Anna è la storia di una donna che fa anche l'attrice. In lei cova una verità che è un fuoco. E se t'impediscono di darle una forma, come hanno fatto con lei, tu soffri. Così ho raccontato il suo dolore, la sua battaglia. Che poi è quella di molte altre donne, attrici o meno. Rimanere sé stesse".
Ma anche come personaggio Nannarella è ciclopica. Tutto in lei è leggendario: il temperamento, la comicità, le sfuriate, le risate che sembrano pianto, il caratteraccio.
"Di un uomo fatto così si dice che ha carattere. Di una donna che è una rompiscatole. Ma la Magnani era sola. Non aveva un marito produttore (come tante); neppure un marito, anzi. Così ha dovuto mostrarsi forte. E i suoi occhi, mano a mano che la vita le voltava le spalle, diventavano sempre più scuri, più cupi".
Grande spazio nel film ha il suo rapporto col figlio Luca, avuto fuori del matrimonio, mai riconosciuto da padre Massimo Serato, e colpito in età infantile dalla poliomielite. Lo ha consultato?
"Naturalmente: mi sembrava corretto. Ma lui vuol tenersi lontano da questo tipo di cose. M'ha augurato buona fortuna, e poi non ha più voluto avere nulla a che fare col film. Ed è stato giusto così. Non mi sarei sentita libera, come invece era indispensabile. Ho preferito mettermi accanto a lei, a Nannarella. E ho lasciato che a parlarmi fosse lei".
La Magnani è scomparsa mezzo secolo fa.
Non teme che Anna possa risultare un film di nicchia?"Ecco: questo è proprio il tipo di ragionamento che mi opponeva chi si rifiutava di realizzarlo! Ma la storia di Anna è semplice, vera, profondamente toccante. Come immaginarne un'altra altrettanto coinvolgente?".