«La mia ribellione alla fine dell'Europa»

Ecco un brano del testamento morale dello storico francese suicidatosi a Notre-Dame di Parigi nel 2013

di Dominique Venner

I l Cavaliere, la Morte e il Diavolo... Mirabile stampa incisa da Dürer nel 1513. Il geniale artista, tra l'altro autore su commissione di tante opere religiose edificanti, dimostra qui una libertà stupefacente e audacemente provocatoria... A quei tempi, non era consigliabile ironizzare sulla Morte e il Diavolo, terrore della brava gente e non solo, terrore alimentato da coloro che ne traevano profitto. Ma lui, il solitario Cavaliere di Dürer, con un sorriso ironico sulle labbra, continua a cavalcare, indifferente e calmo. Il Diavolo non è degno di un suo sguardo. Tuttavia, questo spauracchio è reputato temibile. Vero terrore dell'epoca, come ricordato da tante danze macabre e dai riscatti delle indulgenze, il Diavolo è in agguato per impossessarsi dei defunti, e gettarli nei (...)

(...) bracieri eterni dell'Inferno. Ma il Cavaliere si burla, sdegnandolo, di questo spettro che Dürer ha voluto ridicolizzare. Lei, la Morte, il Cavaliere la conosce. Sa bene che è in fondo alla strada. E allora? Cosa può contro di lui, nonostante la sua spada brandita, a richiamo dello scorrere inesorabile della vita? Reso immortale dalla stampa, il Cavaliere vivrà per sempre nel nostro immaginario, al di là del tempo. Solitario, al passo fermo del suo destriero, la spada al fianco, il più celebre ribelle dell'arte occidentale cavalca verso il suo destino tra le foreste e i nostri pensieri, senza paura né preghiere. Incarnazione di una figura eterna in questa parte del mondo chiamata Europa. L'immagine dello stoico cavaliere mi ha spesso accompagnato nelle mie rivolte. È vero che sono un animo ribelle e che non ho mai smesso di schierarmi contro la bruttezza dilagante, contro la bassezza promossa a virtù, e contro le bugie elevate a rango di verità. Non ho smesso di insorgere contro coloro che, sotto i nostri occhi, hanno voluto la morte dell'Europa, civiltà, popolo e potenza, senza la quale non sarei niente. La mia vita si è in parte confusa con un'epoca di declino per i Francesi e gli Europei, trascinata dalle catastrofi del Novecento, all'indomani della Seconda guerra mondiale, a quelle della guerra d'Algeria, in attesa della globalizzazione americana. Nonostante le fanfaronesche illusioni strombazzate in Francia e altrove, era già chiaro per il giovanissimo uomo qual ero, che le due potenze egemoniche riunitesi a Yalta nel 1945, America e Russia staliniana, avrebbero strappato agli Europei l'autodeterminazione del loro destino, e che ciò si sarebbe ripercosso sulla loro vita quotidiana e le loro rappresentazioni. Questo si è amplificato dopo il 1990, dopo la fine dell'Urss, quando gli Stati Uniti, divenuti strapotenti, hanno imposto la loro globalizzazione finanziaria alle altre nazioni e ai popoli trasformati in consumatori di inutili prodotti usa e getta.

Ma riflettendo su quella grande sostituzione che si accompagna all'immigrazione di intere popolazioni e ad una conquista islamica dell'Europa, sono giunto alla conclusione che se gli Europei avevano potuto accettare da tanto tempo l'impensabile, è perché erano stati distrutti dall'interno da una antichissima cultura della colpa e della compassione. Colpevolizzati nel nome di peccati coi quali si continua a imbottire loro il cranio. Battaglioni di universitari, archeologi, linguisti, epistemologi, storici di diversi periodi, hanno lavorato con accanimento per dimostrare che la Francia e l'Europa sono colpevoli di tutti i mali del mondo, e che non sono niente. Non sono nemmeno tutti dei mercenari, sono spesso degli «utili idioti», come dicevano con disprezzo gli staliniani di un tempo per qualificare le celebrità che manipolavano a profitto della loro propaganda. Un esempio modello di questa perversione ci è stato offerto nel 2008 al momento della pubblicazione della documentata opera di un giovane universitario, Sylvain Gouguenheim, professore di storia medievale alla Scuola normale superiore di Lione (E.N.S.). Contrariamente al cliché secondo cui l'Occidente medievale avrebbe scoperto il sapere greco solo a partire da traduzioni arabe, Sylvain Gouguenheim mostrava attraverso un gran numero di fatti che l'Europa aveva sempre mantenuto il contatto con il mondo greco, in particolare grazie a Bisanzio. Rivelava tra l'altro che l'abbazia di Mont-Saint-Michel era stata un centro attivo di traduzione di Aristotele, a partire dal XII secolo. Per fortuna o per disgrazia del suo autore, il libro di Sylvain Gouguenheim fu l'oggetto di un articolo elogiativo su Le Monde del 4 aprile 2008, scritto da una celebrità. Il fatto non poteva passare inosservato. Suscitò un'enorme mobilitazione degli ambienti intellettuali maggiormente ostili, per scelta ideologica o conformismo, a qualsiasi identitarismo europeo. Il 25 aprile, Le Monde constatava «lo sdegno di una parte della comunità universitaria». Seguivano una quarantina di nomi.

Fu l'inizio di una vera e propria «caccia alle streghe», avente come scopo quello di cacciare Gouguenheim dall'Università. Il 28 aprile, un appello era stato lanciato da duecento «insegnanti, ricercatori, docenti, studenti, allievi ed ex-allievi» dell'E.N.S. di Lione dove insegnava Sylvain Gouguenheim. Questo «collettivo» sovietico domandava un'inchiesta, assicurando che il libro incriminato «serviva da argomentazione ai gruppi xenofobi e islamofobi».

La direzione della scuola fece sapere che avrebbe formato un comitato di esperti al fine di «valutare quali provvedimenti prendere». E fu così. Procedimento stravagante! Gouguenheim non aveva commesso altro errore che infrangere la moda intellettuale del momento. Il 30 aprile, il giornale Libération dava la parola a cinquantasei «ricercatori» che rimproveravano al libro di Gouguenheim un presupposto «dalle connotazioni politiche inaccettabili». E non era che l'inizio. Ci fu, tuttavia, un appello alla calma del grande medievalista Jacques Le Goff, che si diceva di essere «indignato per gli attacchi» contro il suo giovane collega. La qual cosa salvò probabilmente quest'ultimo da una completa condanna a morte.

Ingenuamente, ci si chiedeva cosa avesse portato tutti questi diversi «collettivi» a dichiarare guerra al libro di Sylvain Gouguenheim. Perché un odio simile? La risposta è stata data nel 2009 da un'opera collettiva pubblicata da un grande editore (Fayard), dal titolo: Les Grecs, les Arabes et nous. Enquête sur l'islamophobie savante. Questo indigesto pamphlet di 370 pagine era stato realizzato a cura di quattro autori, tra cui Alain de Libera. A pagina 8, tali autori rivelavano le loro motivazioni. Secondo loro, Aristote au Mont Saint-Michel si inseriva «nella volontà di liquidare definitivamente il Maggio '68». Il rapporto tra il libro di Sylvain Gouguenheim e la presupposta «liquidazione» del Maggio '68, ecco cosa non andava! Per quanto assurda fosse questa giustificazione, essa svelava tuttavia le ragioni degli acerrimi nemici di Gouguenheim. Al di là della loro islamofilia frenetica, si mostravano per quel che erano.

Al posto di ricercatori universitari con la passione della verità, si scoprivano ex o neo «sessantottini» trotzkisti imbastarditi, che perseguivano una vecchia lotta ideologica, sotto gli orpelli del sostegno all'immigrazione musulmana.

Dominique Venner

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica