La mia vacanza alle porte dell’inferno

La mia vacanza alle porte dell’inferno

nostro inviato a Peschici (Foggia)

Essere quasi ai piedi del simbolo di Pietrelcina, a pochi chilometri dalla terra di Padre Pio, San Giovanni Rotondo. Una gita con amici, piatto forte la frescura della Foresta Umbra appena traversata e la serenità di una vacanza riuscita bene. All'improvviso una telefonata. Lacrime, urla. È la voce del terrore. Basta poco per capire che tua moglie è nei guai: «Qui brucia tutto. Il bambino e io siamo dovuti fuggire, buttarci in acqua. Il fuoco, il fuoco. Siamo bloccati... ci portano via...». Poi la linea cade. Resti paralizzato al cellulare per qualche istante, senti lo stomaco e la gola chiudersi. Panico. Sulla tua vacanza si sono aperte le porte dell’inferno. In testa hai un solo pensiero: salvare la famiglia. Un ordine secco a tuo cognato: «Torniamo indietro, torniamo indietro... il campeggio è in fiamme. Mio figlio, tua sorella...».
La strada verso il campeggio sembra eterna. Respiri il silenzio. Per alcuni chilometri non dici una parola. È l’unico modo per esorcizzare la paura. Arrivi e vedi un mondo in fumo: la tua auto, la tua roba, tutto. Ma moglie e figli sono vivi. Ed è quello che conta. Li abbracci come non hai fatto mai.
Intorno turisti in costume cercano, come te, di fare i conti con questa catastrofe. In un ristorante del porto, Il Corsaro, c’è un mare di sfollati. Avete presente una tonnara? Su Peschici il cielo è grigio fumo: una zampata di fuoco ha strappato su tutto il litorale, fino a Vieste, villaggi turistici, campeggi, case, residence, ristoranti e discoteche. Feroce come un dio furibondo ha costretto centinaia, forse migliaia di turisti e paesani, a fuggire, in acqua. Uno sciame di imbarcazioni mandate a recuperare un'umanità rimasta prigioniera sulle spiagge, magari a mollo per paura di bruciare; oppure in qualche abitazione ancora per poco «sicura» dall'arrivo delle lingue di fuoco. «Ha presente l'Inferno di Dante? L'ha mai letto?», racconta un operatore del soccorso alle sei inoltrate di sera, quando persino l'aria del Paese sembra fumo. «Vede - riparte con la voce morta in gola - è dalle tre che portiamo gente...». Qui, una scuola elementare, la Libetta, è stata trasformata in un piccolo ospedale. All'ingresso una scritta fatta con decalcomanie sembra un'ironia della sorte, «Benvenuti». Ragazze sdraiate su lettini da mare, coi piedi e le mani fasciate, in volto smorfie di dolore. Bimbi in braccio alle madri, chi ha respirato troppo fumo, chi si è fatto male alla testa e come cappellino ha garza; niente fiorellini ma il rosso marcio della tintura di iodio. Gli anziani, quelli messi peggio. «Sì, molti stati di choc - conferma Doris Mascheroni, 50 anni, primario di Medicina all'ospedale Villa Aprica, nel Comasco (gruppo San Donato) -. I più gravi li abbiamo mandati al pronto soccorso». Doris era in vacanza. Ieri mattina in barcone per un'escursione; a un certo punto la chiamata d'emergenza. «Rientrando - racconta - abbiamo raccolto delle persone in pericolo sul barcone». In paese la dottoressa si è messa subito a disposizione e, insieme a uno specializzando in oculistica, un medico del 118 e una caposala anch'essa in villeggiatura, ha cominciato a far visite, distribuire termometri e somministrare antidolorifici. Poche strutture, pochissimi camici bianchi e un mare di proteste. «Ma la gente - dice ancora la dottoressa - è piena di buona volontà, chi c'è fa veramente di tutto. Hanno fatto riaprire la farmacia, so che i negozianti aiutano i turisti, c'è tanta collaborazione». Non sa, trecento, forse quattrocento medicati, soccorsi, una ragazza in dolce attesa su un lettino è spaventata per la sua bambina: «Chiamate la dottoressa bionda, che cosa devo fare...». L'ingresso della scuola-ospedale sembra quello di un grossista, bottiglie d'acqua a litri, montagne di bicchierini, tinozze colme di ghiaccio. Caos, viavai di camici bianchi e i carabinieri fanno il censimento tra i feriti: «In famiglia siete tutti?». Quasi tutti annuiscono, ma una signora è disperata e con un filo di voce confida al militare che no, della sua bimba non sa niente.
Guido Bertolaso, capo della Protezione civile, tranquilliza la folla e spiega perfino i particolari tecnici: «Abbiamo Usato gli elicotteri S 64 al posto dei Canadair perché più adatti per questo tipo di emergenza»). Qualcuno se la prende con il caldo e con il vento: «È il Grecale, non dà tregua». Bilancio? «Trecento auto svanite, anziani morti carbonizzati, bombole del gas saltate in aria...». Nella scuola media di Peschici gli sfollati si rifocillano e aspettano i pullman promessi per arrivare a San Giovanni Rotondo. Lì passeranno la notte, negli hotel messi a disposizione dalle autorità locali. Chi è rimasto a Peschici sente ancora passare gli elicotteri dell'aeronautica, sente questi bestioni del cielo diretti verso il porticciolo, dove da un'intera giornata gli elicotteri pescano cisterne di acqua da buttare sulle zone ancora in fiamme. San Nicola, Manacore, San Giovanni, Mattinata; un’intera costa avvolta in una nuvola giallastra, che poteva diventare una delle peggiori tombe per una moltitudine di persone.

«Sai quali sono i momenti più belli di questa storia? - ti sussurra tua moglie -. Quando sono salita sulla barca e ho capito che sarei stata in salvo con nostro figlio. Poi quando ti ho visto al ristorante e ti ho abbracciato».
Luca Pavanel

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