Roberto Fabbri
Anche Microsoft si arrende ai ricatti di Pechino e diventa complice del Grande Fratello. La più potente azienda del mondo nel campo dei computer ha deciso, pur di avere accesso allo sterminato mercato cinese, di accettare le regole illiberali imposte dal regime comunista. La compagnia del capitalista americano Bill Gates collaborerà dunque di buon grado con i censori dello Stato popolare cinese fornendo loro portali addomesticati con un software che impedirà luso di parole sgradite come «libertà», «democrazia», «diritti umani», ma anche «Tibet», «comunismo», «Tienanmen». Gli 87 milioni (una cifra in continua crescita) di utenti cinesi che tenteranno di inserire parole come queste in una ricerca internet vedranno comparire sullo schermo un avviso del seguente tenore: «Sono state utilizzate parole proibite: per favore, cancellatele». Ovviamente il «per favore» è un pro forma: quel tipo di ricerca non potrà essere effettuato in nessun caso.
È penoso ricordare che una decina di anni fa un accattivante slogan di Microsoft chiedeva agli aspiranti navigatori in Internet «Dove vuoi andare oggi?». Un inno alla libertà che ora viene miseramente tradito in nome del dio denaro, idolatrato con lo stesso fervore negli Stati Uniti come in Cina. È altrettanto penoso notare che lAmerica, decisa a esportare la democrazia anche usando la forza, smentisce i suoi sbandierati principi con lattività di alcune delle sue compagnie-simbolo. E testate come il Wall Street Journal, pur molto vicine allamministrazione Bush, non mancano di rilevarlo. Ma che importa? Grazie a questa resa sui principi Microsoft otterrà consistenti vantaggi economici: il suo motore di ricerca, MSN Search, accederà al mercato cinese attraverso una joint venture con l'azienda statale Shanghai Alliance Investment.
Non è tutto. Il Grande Fratello comunista-ipercapitalista che domina la vita di un miliardo e 300 milioni di cinesi sa bene che sono molte le vie attraverso le quali il virus della libertà può infettare il sistema. Così ha deciso di censurare non solo internet, non solo i blogs (sorta di diari personali in cui si racconta liberamente al mondo ciò che si pensa), ma anche i videogiochi. Gli oltre dieci milioni di appassionati cinesi saranno tutelati da messaggi pericolosi da una commissione incaricata di controllare minuziosamente il vasto mondo dei giochi online.
Pechino non può impedire la diffusione dei videogiochi, né intende soffocare un mercato che si calcola porterà presto ogni anno fino a un miliardo di euro allindustria multimediale. Ma il regime autoritario sa che la libertà di pensiero è la peggior minaccia alla sua sopravvivenza. Il messaggio è chiaro e forte nelle parole del ministro della Cultura, Sun Jiazheng: «Vogliamo promuovere lo sviluppo economico nel settore dellintrattenimento digitale, pur senza tralasciare il problema della violenza, della pornografia e di qualsiasi altro contenuto malsano». Nobili le prime due enunciazioni, ma lintento repressivo delle libertà individuali è chiaramente contenuto nella terza.
Va ricordato che Microsoft arriva buona ultima a questa scelta. Colossi come Yahoo! e Google lhanno preceduta in Cina da tempo fornendo software ma anche notiziari precensurati.
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