«Meglio le cornate del toro che quelle della fame» - faceva ripetere Blasco Ibanez al suo Juan Gallardo, predestinato matador di «Sangue e arena». Non cè fame nelle viscere di Miguelito, non cè neppure quel sinistro presagio che piegava il Gallardo prima dogni incontro. Il «soldo di cacio» in gilet, bolero e «montera» la paura non lha ancora incontrata. «Chi sa combattere non ha fifa, davanti al toro sono soltanto calmo, concentrato» ripete dallalto dei suoi dieci anni, delle 106 orecchie già conquistate, delle sette code mozzate a bestioni da 230 chili e passa chili. È Miguelito, è il «pequeno matador». È il nuovo idolo delle arene di Messico e Perù, quelle senza i limiti imposti da Spagna e Francia ai minori di 16 anni, quelle senza regole e senza patemi dove le senoritas si copron gli occhi, ma rimirano tra le fessura delle dita le stoccate di un bimbo cresciuto tra spade e muletas.
Papà si chiama Michele Lagravere, era uno dei più famosi toreri francesi. Michel, detto Miguelito, ne insegue le orme da quando aveva cinque anni. Nessuno in famiglia nutre dubbi. Mamma Diana Peniche va in brodo di giuggiole al ricordo degli ultimi trionfi peruviani del Miguelito trascinato sulle spalle dalla folla impazzita. Lui racconta la sua vita come un «paso» predestinato, dagli spalti alla sabbia madida di sangue, sudore e morte. «Quandero piccolo casa mia era piena di toreri...ad ogni corrida ero con papà». Adesso papà segue lui. Al «tercio de varas», quel primo atto in cui il torero è solo attento spettatore, il monello addossato al toril sembra un intruso arrivato ad inseguire un sogno. Ma quando afferra le banderillas, le infilza nel collo possente, lascia sfilare ad un fiato dai fianchi il mostro mugghiante, è già figlio darte. Al fatidico finale «tercio de muleta» Miguelito e la belva sono uno davanti allaltro, un gracile metro e cinquanta dinfanzia inerpicata sulle punte per scrutar negli occhi 250 chili di furia incattivita. Poi tra nuvole di rena, piroette, vapori di muco e sangue lo scintillio dellacciaio che grigna tra le scapole, spacca il cuore, abbatte la fiera. Miguelito in trionfo, Miguelito el Matador, Miguelito olè, urla la folla ubriaca di paura e sangue. La folla di «Sangue e arena» diventata «unica vera belva». Miguelito un po lo sa, un po lo fa, un po ci sta. Ha visto la cicatrice dellamico Miguel Jairo, una ruga di pelle incartapecorita là dove il corno ha squarciato la schiena, forato il polmone, sfiorato il cuore. Jairo ha 14 anni, combatte da se, è figlio darte pure lui. Lo scorso anno ad Aguascalientes il toro Hidrocalido gli è passato sopra con i suoi 450 chili, sè rigirato, ha annusato il corpicino, lha infilzato, sollevato, scaraventato lontano. «Papà muoio, papa me ne vado» ripeteva Jairo, mentre papà Antonio Sánchez Cáceres gli teneva la testa e gli gridava di tener duro, bestemmiava la propria passione, malediva quei maledetti 4800 euro a toro concordati con i messicani. Tre giorni tra la vita e la morte, poi il miracolo, i cartoni animati nel letto dellospedale, il ritorno al sangue e allarena. E un nuovo contratto da 190mila euro allanno.
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