MIKE LADD&NEGROPHILIA Il professore-rapper torna alle origini del jazz

Domani per l’«Aperitivo in concerto» al Manzoni

Nella stagione in corso di Aperitivo in Concerto, lo spettacolo che ha riscosso finora gli applausi più entusiastici è stato IsWhat?! con Napoleon Maddox, Archie Shepp e Oliver Lake per il mixaggio molto riuscito di rap-hip/hop e jazz contemporaneo. L'unica data italiana di «Mike Ladd&Negrophilia», in programma domani alle 11 al Teatro Manzoni, è fondata su presupposti analoghi e può replicare quel successo.
Mike Ladd (testi, electronics e voce) è una singolare figura di rapper, laureato e professore di Letteratura inglese presso la Boston University, quindi assai diverso dai giovani neri che hanno inventato l'hip hop nelle strade di New York. Non a caso il termine «Negrophilia» è mutuato dal titolo del libro di Petrine Archer-Straw che sostiene la prevalenza della cultura nera nel jazz. Negrophilia è «amore, passione, ritrovato interesse per l'Africa nera e per tutto ciò che riporta alle origini: ritorno al passato, quindi, e cammino a ritroso alla ricerca delle radici e del ritmo tribale». È dunque orgogliosamente frontale l'opposizione del professor Ladd alle idee del premio Nobel James Watson, pioniere degli studi sul Dna, che ha espresso dubbi sulle capacità intellettive degli africani.
Il gruppo Negrophilia è un sestetto nel quale a Mike Ladd si affiancano (o si contrappongono, se si preferisce) musicisti contemporanei come Darius Jamal van Sluytman “Seraphim” voce, anch’egli rapper, Roy Campbell tromba, Andrei Lamb sassofoni e flauto, Guillermo Brown batteria e voce già apprezzato varie volte in Italia, e Vijay Iyer pianoforte e tastiere. Quest’ultimo è senz’altro il più interessante - sebbene ancora poco noto dalle nostre parti - sia per le sue doti, sia perché ha già collaborato con Ladd in un paio di cd (In What Language? e Negrophilia). Iyer ha 36 anni ed è nato in California da genitori di origine indiana. Lo si può apprezzare spesso insieme con il sassofonista Rudresh Mahanthappa, anch'egli di ascendenza indiana, specie in un album dal titolo significativo, Bloodsutra (Universe 2003) dove Iyer si esibisce in un solco al pianoforte solo. Il brano, That Much Music, è assai breve e però il tema notissimo sul quale si fonda, che è Imagine di John Lennon, permette di acquisire nozioni precise. Iyer stravolge la melodia in un gorgo che la rende irriconoscibile ma mostra tecnica perfetta, tocco, fantasia e influenze non nascoste di Cecil Taylor.


Al di là di questo, in altre occasioni si percepisce nel suo linguaggio un «affascinante profumo dell'India del Sud», come afferma Enrico Bettinello che di Iyer è studioso puntuale. In conclusione, ci sono motivi copiosi per pronosticare un altro concerto eccezionale.

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