Aperta fino al 5 settembre la straordinaria mostra dedicata a Roma e alla Cina, due grandi imperi che non ebbero mai contatti diretti. Fianco a fianco il meglio delle due civiltà nell'esposizione che vede il Giornale tra gli sponsor.
Avevano pari dimensione (quattro milioni di chilometri quadrati), pari
popolazione (cinquanta milioni di abitanti), burocrazie affini, sistemi
militari efficienti: l'aquila e il dragone, l'Impero Romano e l'Impero
Cinese, così lontani eppure così vicini.
Divisi da settemila chilometri di steppa e arida montagna, Roma e
Pechino non si incontrarono mai, mai nell’era antica. La conoscenza
reciproca passava attraverso le merci lungo la via della seta: per
carichi di giada, seta e monili di ferro dall'Oriente, Roma mandava
vetri, gessi, tessuti.
Per farci un'idea, la più realistica possibile, di quanto Roma e la
Cina si ignorassero a vicenda, è sufficiente ricordare che, durante la
gloriosa dinastia Han, i cinesi ritenevano che l'imperatore romano
vivesse in un castello di vetro. I romani non erano da meno nelle loro
fantasie: il poeta Orazio sosteneva che «gli uomini della seta»
vivessero oltre duecento anni e Plinio che i cinesi avessero tutti
capelli rossi e occhi azzurri. Non è esattamente così.
Una mostra a Palazzo Reale, che si concluderà il 5 settembre - e che
annovera anche il Giornale tra gli sponsor - tenta di riscrivere la
storia, facendo simbolicamente incontrare «I due imperi»:
nell'allestimento di Cesare Mari, installazioni che alternano sale
color verde giada per i reperti cinesi e sale blu per quelli romani, le
due civiltà sono messe direttamente a confronto.
I guerrieri di terracotta dell'esercito cinese, con il loro fare
ieratico, dialogano con le statue romane; le suppellettili delle
matrone romane con gli orecchini di giada dalle ricche cinesi, le
rigorose steli funerarie dell'antica Roma fanno da contrappunto ai
sarcofagi di giada della tradizione orientale.
Stefano De Caro, direttore generale per i Beni Archeologici del Mibac,
il ministero per i Beni e le Attività Culturali, e il professor Xu
Pingfang hanno curato questa esposizione: come ha annunciato Mario
Resca, direttore generale del Mibac, dopo Milano la mostra andrà a
Roma, alla Curia del Foro Romano e al Colosseo, per inaugurare in
ottobre l'anno della Cina in Italia, nell'ambito di una serie di
importanti scambi culturali tra i due Paesi. Quasi cinquecento le opere
esposte, tra antichi monili, oggetti dell'uso quotidiano, grandi
statue, sarcofagi, steli e affreschi: provengono da numerosi musei
cinesi e importanti prestiti arrivano dal Museo archeologico di Roma,
dai Musei Capitolini e dal Museo archeologico di Napoli. Ha spiegato De
Caro: «Abbiamo voluto far incontrare due civiltà, quella di Roma e
quella delle dinastie cinesi Qin e Han, tra il secondo secolo prima di
Cristo e il quarto secolo dopo Cristo, per evidenziarne affinità e
differenze. Roma è un impero basato sul marmo, Han e Qin sulla giada;
Roma ha architetture pesanti, la Cina strutture lignee leggere.
L'impero romano e quello cinese, simili nella grandezza, nella
struttura dell'esercito e della burocrazia, esprimono due culture
diverse: Roma affonda le radici nella repubblica, in Cina dominano le
dinastie».
Tra i pezzi cinesi più suggestivi ci sono le figure in terracotta, alte
quasi due metri, un sarcofago decorato in pietra dura e una raffinata
torre di terracotta. Nelle sale romane spiccano le grandi statue in
marmo bianco provenienti dall'Archeologico di Napoli e affreschi del I
secolo dopo Cristo provenienti dall'area pompeiana.Uno di questi, una pittura a parete con fondo porpora, è stata
recuperata un paio d'anni fa dai carabinieri del Nucleo di Tutela del
Patrimonio nell'ambito di un sequestro per traffico di opere d'arte.
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