A Milano la carica dei 250mila immigrati cattolici

A Milano la carica dei 250mila immigrati cattolici

A Milano abbondano gli immigrati cattolici. Lo dicono gli ultimi dati disponibili della Caritas-Migrantes, che raccontano percentuali più elevate del solito di nuovi arrivi dall’America e dai Paesi dell’Europa extra Ue. E lo conferma Giancarlo Quadri, responsabile della pastorale per i migranti, che guarda i dati ma anche la personale esperienza con le cappellanìe straniere sparse per la città. «In tutto, i migranti cattolici che vivono a Milano sono poco meno di 250mila. Non ci sono variazioni enormi rispetto all’anno scorso, ma la comunità più forte è la latino-americana. La consideriamo tutta insieme anche se è un arcobaleno di nazionalità, perché la lingua è un collante potente e rende la comunità una, unica». I cattolici latino-americani, in crescita rispetto al passato, sono circa 70mila, secondo le stime della Pastorale migranti che riguardano Milano e provincia (77.300 l’ammontare complessivo della comunità). Seguono a grande distanza i filippini, che sono circa 35mila. I copti cattolici sono appena 50 famiglie: i cristiani provenienti dall’Egitto, infatti, in totale 42mila, sono per lo più ortodossi. E poi, un po’ a sorpresa, ci sono i cattolici cingalesi, stimati a quota 9mila. Una sorpresa perché, mentre Sudamerica e Filippine sono Paesi a forte tradizione cattolica, lo Sri Lanka è un luogo in cui i cattolici sono una minoranza, spesso perseguitata. «Pur essendo un Paese in cui il cattolicesimo è minoritario, circa all’8 per cento, per una stranezza del sistema migratorio, i cattolici dello Sri Lanka si sono dati appuntamento qui a Milano. Sono circa 9mila, su un totale di 17mila presenze». Aggiunge don Quadri: «Sono fedelissimi, sia pur molto legati alla tradizione, hanno una fede forte e costante. La gran parte di loro è qui con tutta la famiglia. Purtroppo, negli ultimi due anni sono aumentati coloro che arrivano da soli e non è un bene». Una trentina le Cappellanie che si sono formate in questi anni: le comunità più consistenti, oltre a latinoamericani filippini e srilankesi, sono di rumeni, albanesi, ucraini, cinesi, dei Paesi africani, giapponesi. Insomma, ogni comunità ha una sua chiesa, i cinesi, i srilankesi, i filippini, i latinoamericani, gli africani. Non saranno ghetti? «Ogni tanto qualcuno mi accusa di alimentare ghetti - replica Quadri - ma tutti sanno bene che all’estero cresce un attaccamento ai propri connazionali. Un inserimento può essere fatto con grande gradualità: se li mandi in parrocchia subito, spesso spariscono».
I cattolici stranieri si lamentano perché nelle chiese italiane si canta poco: «Le Messe filippine e latinoamericane sono belle e emozionanti. Anche gli africani ricorrono molto a tamburi e canti. In ogni caso queste comunità sono sorte da sole, spesso contro il parere dei parroci. Nella nostra cappellania di santo Stefano non celebriamo battesimi né matrimoni, che naturalmente avvengono in parrocchia». Gli europei dell’est sono l’altra comunità che cresce. Gli ucraini cattolici sono circa 4-5 mila (la comunità conta un totale di 13mila persone). A essere praticanti soprattutto le donne. «Ogni domenica alla chiesa del Sacro Volto ce ne sono circa 400, moltissime di loro sono badanti». La comunità dei rumeni è di 38mila persone e gli Albanesi sono 22mila. «Più volte abbiamo tentato di riunirli in una cappellania, ma con la comunità albanese abbiamo fallito» racconta Quadri. I polacchi sono circa duemila (la comunità è di 2200). E poi ci sono gli Etiopi-eritrei, circa mille su un totale di tremila.
Piccole ma determinate le comunità asiatiche. Su 2400 giapponesi che vivono a Milano, ci sono 30 famiglie in cui il marito o la moglie sono cattolici («abbondano le coppie miste», spiega Quadri). I coreani cattolici sono 400 su un totale di 1376. Infine ci sono i cinesi.

Basta fare un giro per Paolo Sarpi per notare quanto sia importante la comunità: 25mila persone. «Negli ultimi anni il tasso di crescita è stato enorme, ormai siamo secondi solo a Prato». Cattolici cinesi a Milano? «Duecento. Ancora pochi...».

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