da Bari
Qualcuno per i corridoi, magari sussurrando dinanzi alle aule, già lo chiama «il Brunetta della giustizia», qualcun altro lo accosta a uno sceriffo armato di codice e clessidra, e altri ancora lo etichettano come il medico accorso al capezzale della giustizia barese con una cura che da queste parti suona rivoluzionaria.
In ogni caso lui, Vito Savino, magistrato di 66 anni, da gennaio presidente del Tribunale di Bari, tira dritto per la sua strada: ignora i malumori così come non fa caso ai complimenti, e ogni mattina controlla che vengano rispettate le sue disposizioni, regole che hanno scatenato un terremoto nel mondo delle toghe spiazzando prassi consolidate e cementate nei tempi infiniti che scandiscono i processi. Ma evidentemente i tempi sono cambiati. E allora basta con le udienze dagli orari flessibili: adesso porte aperte alle 9 e si comincia non oltre le 9,15; e ancora, limite massimo di 60 giorni per i rinvii delle cause precedenti al 2004 e almeno un paio di mozioni dordine per gli avvocati tanto per ripristinare un po di bon ton giudiziario: bandito lassalto alle aule per accaparrarsi il fascicolo, i difensori potranno avvicinarsi al giudice due per volta rispettando il proprio turno e solo dopo essere stati chiamati; e poi cè anche loperazione muri puliti: mai più pareti tappezzate da manifesti di convegni e comunicati sindacali.
Insomma, un grappolo di disposizioni battezzate come «la cura Savino», un protocollo che il presidente del Tribunale ha già messo nero su bianco. «Sono speranzoso e ottimista, anche se le incrostazioni non mancano», dice Savino, originario di Bitonto, ex assistente universitario di Aldo Moro, in passato consulente della commissione parlamentare antimafia insieme al giudice Falcone, magistrato di Cassazione, un passato politico che dal 93 al 95 lo ha portato alla presidenza della Regione Puglia nelle file della Dc.
Il nuovo corso efficientista non è rimasto solo una dichiarazione di intenti. E tanto per sgombrare il campo dagli equivoci, il presidente del Tribunale controlla di persona. E così alle 9 del mattino si infila nel portone del vecchio e massiccio edificio di piazza De Nicola, e subito dopo passa a dare unocchiata alle aule.
Latmosfera è cambiata in fretta. Ma le sgradite sorprese sono dietro langolo. Nellultima ispezione: alle 9,45, quattro giudici su cinque non erano ancora arrivati. La cosa non è finita lì. Il presidente del Tribunale è corso immediatamente ai ripari convocando i magistrati per una riunione di lavoro in modo da fare il punto della situazione e ribadire le disposizioni sugli orari. «Li ho invitati al rispetto rigoroso del decalogo, li ho richiamati alla responsabilità», spiega. Discorso diverso per gli avvocati: tutti perfettamente in orario, una puntualità svizzera alimentata anche dal timore di veder cancellata la causa dal ruolo come accaduto già otto volte. I difensori, dopo i malumori iniziali, a quanto pare hanno recepito il concetto e alcuni di loro sono entrati a far parte di un osservatorio misto che ogni sei mesi traccerà un bilancio. Per il momento, però, ai controlli ci pensa direttamente Savino, che non disdegna neanche puntatine nelle cancellerie, dove ormai gli impiegati sono al lavoro già dalle otto del mattino.
Ma non è solo una questione di orari, quella di Savino è una filosofia a 360 gradi: «È tempo di finirla con le chiacchiere, anche i dibattiti sullindipendenza della magistratura e su altri concetti importanti valgono solo se sono strumentali al servizio che svolgiamo».
A proposito del servizio, il magistrato dice chiaro e tondo come la pensa: «Non voglio un approccio impiegatizio alla professione, la differenza tra giudici e impiegati non può essere solo lo stipendio», dichiara. E spiega: «Il giudice deve sfornare provvedimenti, basta piangersi addosso con il solito ritornello delle risorse che non ci sono e dellorganico ridotto allosso: piuttosto ci vuole maggiore organizzazione».
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