Milano, nella Chinatown ogni due minuti si commette un’illegalità

Il record svelato da un libro bianco sugli ultimi 10 anni. E in via Sarpi dopo la protesta tutto come prima

da Milano

Ottantotto infrazioni in tre ore e ventiquattro minuti. Una violazione ogni centoventitré secondi. Accade nella Chinatown, quella del triangolo di via Sarpi, tra via Canova, piazza Gramsci e via Bramante.
Record tutto milanese, documentato in formato excel. Anzi, non è milanese: è da guinness dei primati. Griglia delle infrazioni, «spalmate su tre fasce orarie in tre diversi giorni», che rappresenta una forma geometrica ad alto rischio esplosione. Conteggio dei secondi sostenuto in un dossier di cinquanta pagine ovvero libro bianco degli ultimi dieci anni del quartiere «in cui il tessuto socio-economico è stato progressivamente stravolto».
Fotografia del carico e scarico illegale, delle pile di scatoloni che fanno bella mostra di sé a ogni angolo di strada, di sei furgoncini che bloccano un jumbo tram alle sei di un pomeriggio di giovedì. Elenchino del degrado sociale che ha persino spinto i residenti di un condominio di via Giusti ad «autotassarsi» per pagare l’affitto di un negozio che s’affaccia sul passo carraio del palazzo per evitare che qualche cinese lo acquisisse. «Capito, come viviamo?».
È Chinatown che avanza e che nel day after non vede i «marciapiedi» trasformati in «autostrade» dai carrellini blu usato dai negozianti cinesi per trasportare la loro merce. Nessun intralcio alla circolazione dei pedoni e nessun segno della guerriglia del giorno prima: sparite le bandiere rosse issate dai cinesi, adesso alle finestre ci sono quelle italiane mischiate a lenzuola color arancione che recitano, «no all’illegalità».
Segnali di una volontà meneghina di rimpossessarsi del quartiere, con tanto di ghisa a presidiare gli incroci. Messaggio che, lì, a tre fermate di metrò da piazza Duomo non c’è e non potrà mai esserci un’enclave fuori dalle regole.
E mentre il comandante della polizia municipale, Emiliano Bezzon, sta redigendo la sua relazione per la Procura della Repubblica - «nessuna attività del corpo è diretta specificamente contro la comunità cinese» - anche la Digos continua le indagini per ricostruire l’esatta dinamica dei fatti. La reazione dei cinesi sarebbe stata davvero premeditata: «Non si può nel giro di nemmeno cinque minuti iniziare ad essere migliaia e con bandiere rosse inneggianti, con striscioni eccetera», confidano dalla questura. Che sta confrontando diverse testimonianze degli scontri. Versioni dell’accaduto che si completano con un bilancio di quattordici agenti medicati in ospedale (dieci giorni di prognosi) e cinque contusi tra i cinesi. Numeri che potrebbero bastare da soli a comprendere i ruoli di aggrediti e aggressori. Ruoli di un clima che, sostiene il prefetto Gian Valerio Lombardi, deve «essere recuperato alla serenità» anche «attraverso un incontro tra le parti» sapendo però che «il rispetto delle regole» è un limite invalicabile.

Appello che al consolato cinese viene però respinto, con tanto di preannuncio di «querela» per bocca del consulente legale, Manlio Marino: «Quello di giovedì è stato solo un episodio ma è anche figlio del malcontento, di un’esasperazione creata negli ultimi mesi».
Nota al calor bianco che nel day after di Chinatown suona stonata alle orecchie degli italiani costretti a «sentirsi stranieri in patria».

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