Addio a Rovati, San Siro e Mani pulite

Vicino ai socialisti, tra i big dell'edilizia, fu uno dei primi arresti di Tangentopoli

Sono cose che oggi sarebbero impensabili: i cronisti di Mani Pulite che vengono convocati nella caserma dei carabinieri di via Moscova e si vedono consegnare un pacchetto di foto segnaletiche, come se fossero una bustina di figurine Panini. Era il 22 aprile 1992. Dentro ce n'erano sette: sette facce in bianco e nero, signori di mezza età, tutti tranquilli, qualcuno perfino sorridente. Erano i primi arrestati della svolta di Tangentopoli, i primi frutti delle confessioni che - dopo due mesi a San Vittore - Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, aveva offerto a Di Pietro in cambio della libertà.

L'altro ieri, a Milano, muore uno di quei sette: Tino Rovati che nelle foto segnaletiche appariva il più perplesso di tutti, con la sua faccia da bulldog padano. Nomi che allora al grande pubblico dicevano poco, gente lontana dai riflettori del mattone milanese. Ma nei palazzi della politica quei nomi li conoscevano bene, perché erano l'ossatura di quell'imprenditoria lombarda efficiente e spiccia, la cui generosità forniva da sempre linfa vitale al sistema dei partiti.

Rovati, di quella schiatta, era probabilmente l'esponente più autentico e indubbiamente il più simpatico. Pavese di origine, alla sua terra era rimasto legato soprattutto tramite la passione per il pallone che lo aveva portato alla presidenza della squadra del paese. Ma a Milano aveva trovato il suo partito di elezione, ed era ovviamente il Partito socialista; e nell'edilizia, specialmente in quella pubblica, una strada e passione altrettanto solida. La sua creatura si chiamava Edilmediolanum e il più recente fiore all'occhiello erano stati i lavori per il terzo anello di San Siro per i Mondiali del '90.

Al Tino Rovati, che era un ragazzo sveglio, quando erano arrivati i carabinieri a prenderlo era bastato un secondo a capire chi era stato a venderlo: Chiesa, ovviamente, che quando presiedeva l'ospedale Sacco gli aveva dato l'appalto per i nuovi padiglioni. Ancora meno tempo servì a Rovati per capire che se Chiesa stava cantando, il sistema andava a farsi benedire e non valeva la pena di fare gli eroi. Disse a Di Pietro quello che il pm voleva sentirsi dire e dopo due giorni era a casa.

Pochi mesi dopo, un infarto.

Il cronista che lo aveva maltrattato all'epoca dell'arresto, se lo ritrovò davanti a Montescano, dove si riabilitava: sorridente, filosofo. «Eh, esageravano», sintetizzò l'andazzo di Tangentopoli: con l'aria serena di chi sa che la vita va avanti.

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