Sono 547 gli stranieri che hanno presentato domanda di regolarizzazione in Lombardia, in base al Decreto emersione 2020, per lavorare nell'agricoltura. Il dato è del Viminale ed è aggiornato al 15 luglio. Un numero quasi insignificante, se si considera che la nostra è la prima regione agricola d'Italia e vede impiegate nella filiera agro alimentare 230mila persone. Anche a livello nazionale le domande per lavorare la terra sono una minima parte di quelle totali: poco più di 14mila su poco più di 112mila (il 13%).
La maggior parte degli stranieri ha fatto richiesta per l'emersione del lavoro domestico, si parla per lo più di servizi alla persona come quelli di colf e badanti. Nel decreto promosso dal ministro dell'Agricoltura Teresa Bellanova per «Lavoro subordinato» si intendono i settori di agricoltura, allevamento e zootecnica, pesca e acquacoltura. Le tabelle del ministero dell'Interno mostrano che per la Lombardia sono arrivate solo 547 domande (oltre 28.600 quelle per il lavoro domestico). Tra le prime regioni: Campania (4.033 domande), Sicilia (1.968), Lazio (1.732). Nessuna provincia lombarda è nelle prime dieci per numero di stranieri che chiedono di far emergere la propria posizione di lavoratore agricolo. Il governo aveva presentato la misura come utile soprattutto a tale settore e ad arginare il lavoro nero e lo sfruttamento dei braccianti. I numeri però disegnano un'altra realtà, almeno nella nostra regione. I lavoratori agricoli stranieri della Lombardia non usufruiscono del Decreto emersione per ottenere la regolarizzazione, perché sono in larga parte già impiegati con contratti regolari.
«Il ministro Bellanova - sottolinea l'assessore regionale all'Agricoltura Fabio Rolfi - ci aveva detto che la sanatoria degli immigrati irregolari avrebbe riguardato il settore agricolo. I numeri dicono il contrario. Sono più i clandestini sbarcati di quelli regolarizzati nel settore primario. Il messaggio di una regolarizzazione di massa ha portato a sbarchi di massa, con i risultati che vediamo tutti: immigrazione fuori controllo e conseguente allarme sociale». Per l'assessore quindi, la misura del governo non è servita affatto al settore primario. «Il ministro - continua - ha strumentalizzato l'agricoltura per scopi ideologici. Siamo alle porte della vendemmia 2020 ed è sempre più evidente l'errore di imporre scelte ideologiche al comparto agricolo come quella di non introdurre i voucher.
A rischiare per questa ottusità sono purtroppo le aziende agricole e il reddito di tante famiglie di agricoltori». Conclude Rolfi: «Gli imprenditori agricoli non sono schiavisti, fanno contratti regolari e non devono essere descritti come persone che sfruttano i lavoratori».
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