Un grossolano maquillage dei bilanci messo in piedi per nascondere la voragine dei conti comunali: è questo che il sindaco di Sesto San Giovanni, Roberto Di Stefano, sostiene di avere scoperto nella cassa ereditata dalla giunta di sinistra che fino alla primavera dello scorso anno - nel solco di una tradizione pluridecennale - ha amministrato la città.
Ieri Di Stefano divulga i risultati degli accertamenti contabili realizzati dal suo assessore Nicoletta Pini. Ed è una mossa destinata a riscaldare ulteriormente il clima politico a Sesto, dove il Pd e i suoi alleati non hanno mai digerito l'inopinata sconfitta. E dove il passo indietro del vicesindaco Giampaolo Caponi, il leader civico alleato della destra al ballottaggio, sta rimescolando gli equilibri in consiglio comunale.
Baruffe politiche a parte, la situazione denunciata dal sindaco Di Stefano appare oggettivamente devastante per le casse del municipio sestese. Che i conti non fossero in gran salute lo si sapeva già da tempo: nel 2015 il sindaco dell'epoca, Monica Chittò, dovette prendere atto di un «buco» di oltre otto milioni di euro e stipulare un mutuo per rientrare dall'esposizione: rata di 304mila euro all'anno per i prossimi trent'anni.
Ma ora Di Stefano sostiene che «nello svolgimento delle operazioni di chiusura della gestione di esercizio 2017» è saltata fuori una «amarissima sorpresa»: un ulteriore buco di tredici milioni di euro dovuti a una «serie di clamorosi errori di calcolo».
Al centro del pasticcio ci sono i cosiddetti «crediti di dubbia esigibilità», ovvero i soldi che per multe o imposte non pagate i Comuni devono ricevere ma che in concreto spesso non si riesce a portare a casa. Per questo nei bilanci va inserito un Fondo di garanzia, calcolato sulla percentuale di speranze concrete di incassarli, calcolate in base all'andamento degli anni precedenti.
E qui, secondo il nuovo sindaco, casca l'asino. La vecchia giunta ha sostenuto di avere riscosso nei cinque anni precedenti circa il 73 per cento dei crediti, e su questa base ha accantonato nel Fondo solo il 27 per cento delle somme. Peccato che la situazione fosse esattamente l'opposta: 27 per cento di crediti riscossi, 73 % di insoluti. Nel Fondo sarebbe dovuta finire una somma quasi tripla. La differenza sono quei 13 milioni che adesso mancano all'appello.
Che i crediti del Comune fossero stati ampiamente sopravvalutati ci sono pochi dubbi: una percentuale di riscossione del 73 per cento è del tutto impensabile, basti pensare che il Comune di Milano ha festeggiato come un successo epocale l'avere raggiunto nel 2016 il 45 per cento di crediti incassati, partendo da una media intorno al 30 per cento.
Potrebbe trattarsi di un errore involontario? Di Stefano non sembra disposto a crederlo: nel suo comunicato parla dapprima di «errore madornale» ma poi accusa i suoi predecessori di «possibile taroccamento» nonché di malafede: «Evidentemente mai avrebbero pensato di perdere le elezioni e quindi di svelare alla città questo gravissimo
disavanzo che hanno creato».Di Stefano, si direbbe, pensa che il «buco» sia stato mascherato consapevolmente: tanto che annuncia l'invio della documentazione non solo alla Corte dei Conti ma anche alla Procura della Repubblica.
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