Desaparecidos. Chi li ha più visti? Scomparse le «anime belle» della sinistra al caviale, lasciando il povero Giuliano Pisapia a macerarsi nella solitudine del numero primo. Da solo, dopo che per la folla dei cortigiani in quell'ormai lontano 30 maggio del 2011 era perfino difficile riuscire a salire sul carro del vincitore. Che folla ad accorrere secondo italico costume in soccorso di chi aveva già trionfato.
Per fortuna che c'è internet a riproporre impietose immagini di chi non si era voluto perdere i festeggiamenti, ma che non s'è certo visto al momento di aumentare il biglietto del tram, togliere gli abbonamenti scontati agli anziani, far lievitare indistintamente qualunque tassa comunale tartassando i bar che mettono i tavolini fuori e le famiglie per le immondizie. A giustificare con parole altrettanto nobili il rincaro degli asili o la mannaia sugli aiuti a chi ne ha bisogno. Perché la vittoria ha tanti padri, ma le casse vuote del Comune sono invece figlie di nessuno. Anzi del solo Pisapia, costretto a mettere nome e faccia sulle manovre più lacrime e sangue che Milano ricordi.
Mica solo colpa sua. I tempi son brutti, lo Stato è vampiro e a Milano grandinano tasse. Ma è proprio in questi momenti che quel tapino del sindaco avrebbe più bisogno degli amici. Ammesso che quelli lo fossero. Magari di Lella Costa e Paolo Rossi che si fecero belli del Discorso di Pericle di Tucidide. «Qui ad Atene noi facciamo così: qui il nostro governo favorisce i molti, invece dei pochi e per questo viene chiamato democrazia». Bello. Magari da riprendere, ad averne il coraggio, il giorno in cui i molti saranno costretti a pagare di più il biglietto dei mezzi pubblici, mentre i pochi continueranno a viaggiare con l'autista privato o l'auto blu. E dov'è finito il lìder rosso Nichi Vendola che a Milano si è visto a esultare «(«Ora abbracciamo i fratelli rom e musulmani») e poi mai più? Per non parlare di Gino Strada e chi gli regalò la maglietta dell'Inter personalizzata con il 57, il suo posto tra i sindaci di Milano. In tanti erano anche alla chiusura della campagna elettorale: Claudio Bisio, Gioele Dix, Antonio Cornachione, Debora Villa, Gad Lerner, Neri Marcorè, Elio e le Storie Tese, Giuliano Palma. Immancabili Serena Dandini e Geppi Cucciari, Adelfo Cervi figlio di uno dei sette fratelli Cervi arrivato a parlare di antifascismo, il numero uno Cgil Susanna Camusso e quello allora del Pd Pierluigi Bersani oggi desaparecido anche nel partito. Non s'è più vista nemmeno la Banda degli ottoni a scoppio che suonava Bella ciao.
E dove son finiti quegli snob del «Gruppo dei 51», lobby economico-politica nata per appoggiare la candidatura? Piero Bassetti e Marco Vitale, Piero Schlesinger, Carlo Fontana, Mario Artali, Antonio De Lillo, Luca Beltrami Gadola, Salvatore Bragantini, Filippo Ranci, Umberto Voltolina, Guido Martinotti, Stefano Rolando. Ah no. A Rolando è toccata una poltroncina al Corecom.
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